Inghilterra 66: Football Saved the Queen (Speciale Mondiali -Part.9)

L'Inghilterra ospita e vince un Mondiale tra gol fantasma e polemiche...

Cento anni. Tanto era passato dalla nascita della prima federazione calcistica nella storia dell’umanità, quella “Football Association” che ancora oggi gestisce l’attività calcistica professionistica nella patria del gioco: l’Inghilterra. Era il 1963, e mentre i Beatles pubblicavano il loro primo singolo “Please Please Me“, Papa Paolo VI succedeva al defunto Giovanni XXIII e Martin Luther King teneva il discorso “I Have a Dream” davanti al Lincoln Memorial di Washington, la Fifa, presieduta dall’inglese Stanley Rous, era impegnata ad assegnare la sede dell’edizione numero 8 della Coppa del Mondo, quella del 1966. Guarda caso la scelta ricadde proprio sull’Inghilterra, una decisione destinata a portarsi dietro una marea di polemiche.

 

In vista del mondiale casalingo, la federazione inglese decise di affidare la squadra ad Alf Ramsey, il tecnico autore del miracolo Ipswich campione d’Inghilterra 1962 al primo anno di First Division. Sin da subito Ramsey promise di riportare la Coppa Rimet nella patria del calcio, quel trofeo inizialmente snobbato e poi talmente bramato da diventare un’ossessione.

 

Parte il ‘Rinascimento’ azzurro

L’ennesima brutta figura dell’Italia ai mondiali cileni del 1962, scatenò l’immancabile vespaio di polemiche. Sgretolata la commissione tecnica composta da Mazza e Ferrari, il presidente della Figc Pasqual impose un programma quadriennale di ricostruzione e ristrutturazione della Nazionale che poggiava su tre capisaldi: l’adozione di un commissario unico come ai tempi di Pozzo, la rinuncia definitiva agli oriundi che mostravano scarso attaccamento ai nostri colori, la difesa del prestigio della Nazionale soffocata dalle pressioni dei club più influenti. A suggerire a Pasqual l’uomo giusto per la rinascita del nostro calcio fu Aldo Bardelli, Ct azzurro ai Mondiali di Brasile 1950 allora caporedattore del ‘Corriere dello Sport Stadio’, che vide in Edmondo Fabbri, principale fautore della rivelazione Mantova all’inizio degli anni 60, l’allenatore emergente con cui poter costruire un ciclo. Su Fabbri aveva messo gli occhi anche Allodi dell’Inter, con il quale aveva condiviso da dirigente le ultime stagioni al Mantova. I nerazzurri volevano infatti liberarsi del loro tecnico Helenio Herrera, che dopo aver vinto 4 campionati spagnoli con Atletico Madrid e Barcellona al secondo anno di Inter era ancora a secco. Lo stesso Herrera allenatore della Spagna ai Mondiali di Cile ’62Moratti era infatti convinto che una buona prestazione del suo tecnico ai Mondiali avrebbe attirato l’interesse di altri club, intimando Herrera a lasciare l’Inter per fare spazio a Fabbri. L’eliminazione al primo turno degli iberici fece saltare i piani del numero uno interista, costretto a rinunciare a Fabbri e tenersi il tecnico argentino. Decisione che non avrebbe rimpianto di certo.

 

Quello all’inizio degli anni 60 fu un vero e proprio periodo d’oro per il nostro calcio, sopratutto grazie alle imprese europee di Milan ed Inter. I rossoneri guidati dal ‘Paròn’ Nereo Rocco trionfarono nella finale di Coppa Campioni 1963 a Wembley battendo il Benfica per 2-1 (doppietta di Altafini), mentre nelle due successive stagioni fu proprio l’Inter di Herrera a salire sul tetto d’Europa e del Mondo. Un ciclo straordinario che portò i nerazzurri ad alzare tre Scudetti e due Coppe Campioni e due Intercontinentali dal ’63 al ’66. Di sicuro un periodo di buon auspicio in vista della nuova avventura mondiale del 1966 in Inghilterra.

 

Football go Home

Le qualificazioni ad Inghilterra ’66 impegnarono 69 nazionali in tutto il mondo: la Fifa assegnò 10 posti all’Uefa, 4 al Sudamerica, 1 al Centro-Nord America e Caraibi e 1 ad Africa, Asia e Oceania. Il fatto di dover disputare un doppio spareggio con la federazione asiatica (quella oceanica all’epoca non esisteva), non andò giù alle 15 nazionali del continente Nero e alla Corea del Sud, che per protesta si ritirarono in massa. La squalifica del Sudafrica da ogni competizione sportiva parte del Comitato Olimpico, adottata di conseguenza anche dalla Fifa, per il vigente regime di apartheid, lasciò a Corea del Nord e Australia la possibilità di giocarsi il posto ai Mondiali inglesi. Il doppio incontro, che si disputò sul neutro di Phnom Penh in Cambogia, vide prevalere facilmente i coreani (6-1 e 3-1). L’allenatore degli australiani disse che se gli asiatici avessero mostrato la stessa disciplina e lo stesso agonismo anche al Mondiale, avrebbero dato filo da torcere a tutti. Ovviamente nessuno gli dette ascolto. Un errore, quello di snobbare i coreani, spesso pagato a caro prezzo dal mondo non solo calcistico.

 

L’Italia si qualificò vincendo il proprio girone davanti a Scozia, Polonia e Finlandia. Escluse big come Svezia, Cecoslovacchia e Germania Est, a rappresentare il vecchio continente ci furono Bulgaria, Germania Ovest, Francia, Portogallo, Svizzera, la Spagna Campione d’Europa in carica, l’URSS vice campione e l’Ungheria campione olimpico del torneo di Tokio ’64; Cile, Uruguay e Argentina per il Sudamerica e il solito Messico per il Concacaf.

 

Nel 1966 l’Inghilterra potè mostrare al mondo la sua capacità organizzativa e bellezza dei suoi tappeti verdi, 7, scelti per ospitare le partite dei mondiali: Londra (Wembley e The White City Stadium), Birmingham (Villa Park), Sheffield, Sunderland, Manchester (Old Trafford) e Liverpool (Goodison Park). Uno spiacevole episodio rovinò però l’antipasto degli inglesi: durante un’esposizione al pubblico il 20 marzo la Coppa Rimet venne rubata da ignoti. Mente Scotland Yard brancolava nel buio, il bastardino Pickles scovò la Coppa avvolta in un foglio di giornale in un parco della capitale. Per evitare figuracce qualora la Coppa non venisse ritrovata, la federazione inglese ne fece costruire una identica, trofeo che adesso è custodito nel Museo Nazionale del Calcio.

 

Si ferma al girone il mondiale di Italia e Brasile

D’altra parte questa era per i padroni di casa un’occasione irripetibile per mettere le mani sull’ambito trofeo. Ma favori del pronostico per essere il paese ospitante a parte, la nazionale guidata da Alf Ramsey era una formazione solida e ben organizzata: Banks in porta, Bobby Moore, storico capitano del West Ham, in difesa, Peters e Stiles a centro campo, e una formidabile linea d’attacco composta da Hunt, Hurst e Robert ‘Bobby’ Charlton. Gli inglese infatti vinsero senza affanni i loro girone: dopo lo 0-0 nella gara inaugurale contro l’Uruguay, si assicurarono la prima piazza battendo 2-0 sia Messico che Francia; alle loro spalle si piazzò proprio La Celeste.

Nel gruppo 2 le protagoniste furono Germania Ovest e Argentina, rispettivamente prima e seconda appaiate a 5 punti davanti a Spagna e Svizzera.

 

Il gruppo 3 riservò la più clamorosa sorpresa del torneo. Il Brasile due volte Campione del Mondo esordì bene battendo 2-0 la Bulgaria, ma le successive sconfitte con l’Ungheria (3-1) e con il Portogallo dell’astro nascente Eusebio, 24 enne centravanti del Benfica Pallone d’Oro 1965, ancora per 3-1, costano ai verdeoro l’eliminazione proprio a vantaggio di lusitani e magiari. Non accadeva dal 1934.

 

Il gruppo 4 era quello dell’Italia. Gli azzurri si presentarono in Inghilterra con una gran bella squadra, ma come ad ogni Mondiale non mancarono polemiche e controversie. Il Ct Fabbri sedotto e abbandonato, non convocò parecchi giocatori dell’Inter che dominava il mondo. Su tutti Mario Corso, che aveva offeso il suo assistente Valcareggi, e Armando Picchi, il libero della difesa più forte d’Europa. Secondo Fabbri, non si poteva far giocare l’Italia come l’Inter perché mancavano due giocatori fondamentali: Jair, riserva di Garrincha in Nazionale, e il numero 10 iberico Luis Suarez.

L’esordio nel mondiale fu comunque positivo, grazie al 2-0 inflitto al Cile col quale vendicammo la figuraccia di 4 anni prima. La bella Italia vista contro i sudamericani non si ripeté però nella seconda gara, quella persa contro l’Urss per 1-0. «Una sconfitta di misura contro i sovietici ci può stare, non penserete mica di perdere con la Corea?» disse Fabbri alla vigilia della terza e ultima gara di girone. Già, la famosa Corea di cui avevamo parlato in precedenza, una squadra di sconosciuti che aveva perso 3-0 contro l’Urss e pareggiato, per il rotto della cuffia, contro il Cile all’88’. All’Italia sarebbe bastato un pareggio per accedere ai quarti, ma gli azzurri presero decisamente sottogamba l’impegno, forti anche delle rassicurazioni di Valcareggi che dopo averne visionato un allenamento definì i coreani 11 ‘Ridolini’. La partita si giocò a Sunderland il 16 luglio. Gli azzurri partirono bene, sfiorando il gol in almeno 5 occasioni nel primo quarto d’ora. L’Italia rimase in 10 per l’infortunio capitato a Bulgarelli, e poco prima dell’intervallo il diagonale del caporale Pak Doo Ik, erroneamente considerato dentista (aveva effettivamente quella qualifica ma non esercitò mai) quando invece negli anni avvenire lavorò come professore di educazione fisica, portò in vantaggio gli asiatici. L’Italia non riuscì a rimediare lo svantaggio e perse clamorosamente 1-0. Ancora una volta, l’avventura azzurra ad un mondiale si fermava al girone di qualificazione.

 

Aiutini e gol fantasma: festeggia la Regina

I quarti di finale proposero sfide di indubbio fascino. Ai padroni di casa inglesi toccò la patata più bollente, l’Argentina di Artime e Onega ritenuta dai media tra le favorite del torneo. Gli argentini misero sin da subito in difficoltà gli inglesi, non solo da punto di vista tecnico. A spianare la strada agli inglesi verso la semifinale ci pensò però l’arbitro, il tedesco Kreitlein, che espulse il capitano argentino Rattin mentre chiedeva spiegazioni per l’ennesimo giallo. Rattin si rifiutò di uscire dal campo e per 8′ i suoi compagni di squadra minacciarono di uscire assieme a lui. Alla fine decise di abbandonare il terreno di gioco, ma anziché dirigersi direttamente negli spogliatoi fece il giro di tre quarti di campo ricevendo offese ed oggetti di ogni tipo. La partita proseguì e a spuntarla per 1-0 furono gli inglesi, spinti in Semifinale dall’imperioso stacco di Hurst che però con tutta probabilità partì in posizione irregolare.

 

Il sogno Mondiale della Corea del Nord durò invece poco più di mezzora. Dopo il 3-0 con cui gli asiatici misero paura al Portogallo, Eusebio prese in mano la situazione. Con due gol nel primo tempo e altri due con un assist nella ripresa vinse da solo la gara e trascinò i portoghesi alla Semifinale con l’Inghilterra.

Molto equilibrata anche la sfida tra Urss e Ungheria, ma le individualità di Cislenko e Jascin alla fine fecero la differenza: 2-1 e Ungheria a casa.

 

Discusso anche l’arbitraggio dell’inglese Finney nell’ultimo Quarto di Finale, quello tra Uruguay e Germania Ovest. La Celeste, fondata sul forte Penarol che pochi mesi più tardi avrebbe strapazzato il Real Madrid nella doppia finale di Intercontinentale, partì alla grande e nei primi 15′ giocò ad una porta. L’arbitro poi non vide un mani clamoroso di Schnellinger su colpo di testa di Rocha. Si riprese a giocare, e su un tiro da fuori di Haller la palla toccò il ginocchio di Held e finì in rete. Lo svantaggio fu un duro colpo e gli uruguagi persero letteralmente la testa. Rimasti in 9 per una doppia espulsione, ressero fino a 20′ dalla fine, quando la Germania chiuse i conti con altre tre reti. Un gol lo segnò anche un ventenne Franz Beckenbauer, capace di stupire il mondo al suo primo Mondiale da giocatore.

Il torneo del 66′ restò nell’immaginario collettivo della stampa sudamericana come “El roblo del siglo“, il furto del secolo. Probabilmente esagerarono, ma qualche argomento in effetti ce l’avevano.

 

Nella Semifinale tra Inghilterra e Portogallo, il mattatore del Mondiale fino a quel momento Eusebio trovò in Nobby Stiles un marcatore insuperabile. Il mediano concesse alla Pantera ‘solo’ un calcio di rigore, mentre con una splendida doppietta Bobby Charlton trascinò la sua Nazionale alla sua prima Finale Mondiale.

 

Un po’ meno complicato il compito della Germania Ovest, che nella seconda Semifinale ebbe la meglio dell’Unione Sovietica per 2-1. Il gol di Porkujan, arrivato all’88’ dopo le reti di Haller e Beckenbauer, servì solo a mettere paura ai teutonici.

 

Nella finalina per il 3/4° posto Eusebio mise il punto esclamativo sul suo Mondiale superlativo firmando la vittoria del Portogallo. Il suo gol, il nono, seguito da quello di Torres all’89’, permise ai lusitani di annullare la rete di Malofeev, battere i i sovietici ed ottenere, meritatamente, il risultato più importante ottenuto da Portogallo in Mondiale. Record imbattuto ancora oggi.

 

Il 30 luglio 1966 quasi 100,000 persone affollarono l’Imperial Stadium di Wembley. Inghilterra e Germania Ovest arrivarono a quell’incontro nella miglior condizione possibili. Erano due squadre che giocavano un calcio simile, incentrato sul ritmo e sulla forza ma anche sulla tecnica. A rovinare però la festa all’intera famiglia reale seduta in tribuna fu Helmut Haller, che al 13′ raccolse una corta respinta della difesa e beffò Banks con un preciso diagonale. In quel memento ci si rese conto quanti fossero i tedeschi presenti allo stadio. Bastarono però 6′ agli inglesi per trovare la reazione con il solito Hurst, bravissimo a raccogliere il perfetto suggerimento di Ball e battere di testa Tilkowsi, 1-1.

Nella ripresa, mentre Beckenbauer e Charlton si annullavano a vicenda, l’Inghilterra riuscì a passare in vantaggio al 77′ con Peters sfruttando un pasticcio della difesa tedesca. In un tripudio di bandiere del Kingdom Jack, i Tre Leoni sentivano già loro il primo titolo della storia del calcio inglese. Non avevano fatto i conti però con i tedeschi, che a pochi secondi dalla fine risolsero con Weber una mischia in area di rigore si portarono nuovamente in parità.

Dopo una decina di minuti dall’inizio del supplementare, Ball mise in mezzo un pallone arrivato da Stiles, Hurst con un gran controllo si liberò della marcatura e calciò verso la porta, la sfera picchiò la traversa e rimbalzò in campo. L’arbitro, lo svizzero Dienst, ebbe la sensazione del gol, ma per averne la conferma si recò dal guardalinee, l’azero Bahramov, che con lui non condivideva neanche una parola. Dopo un breve conciliabolo il guardalinee fece sì con la testa e Dienst convalidò il gol. Era il primo caso importante di gol fantasma della storia calcio moderno. I tedeschi, distrutti, non ebbero nemmeno la forza di protestare. La stoccata finale la diede ancora Hurst, che in contropiede siglò la tripletta che regalò all’Inghilterra la tanto agognata Coppa Rimet. Così come il precedente, anche questo gol sarebbe stato da annullare: nelle immagini attualmente a disposizione si nota come durante la corsa di Hurst verso la porta ci fossero alcune persone entrante in campo per festeggiare. I giornali tedeschi il giorno dopo titolarono: “Abbiamo perso 2-2“.

 

La foto di Bobby Moore che alzava la Coppa diventò l’immagine simbolo di quel 1966, assieme ai bombardamenti americani su Hanoi e il premio Nobel per la Letteratura consegnato a Gabriel Garcia Marquez. Il responsabile principale di quel trionfo su senza dubbio Bobby Charlton, il perno dei Tre Leoni ancora oggi ritenuto il più grande calciatore britannico di tutti i tempi. Un autentico fuoriclasse, dotato di forza fisica, tecnica sopraffina, visione e capacità realizzativa straordinaria. Un uomo sfuggito al tragico destino che non aveva risparmiato i suoi compagni. Il 6 febbraio 1958, mentre era di ritorno da una vittoriosa trasferta di Coppa dei Campioni a Belgrado, l’aereo del Manchester United si spezzò sulla pista d’atterraggio di Monaco di Baviera. A bordo c’erano giocatori, dirigenti e giornalisti. Ne morirono 23 su 38.

Quello del 1966 fu anche il Mondiale di Eusebio, stella del Benfica e della Nazionale portoghese dalle origine africane. Nato in Mozambico nel ’43, a 19 anni trascinò il Benfica di Bela Guttman (sì, proprio quello della maledizione dei 100 anni) alla sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva nel 1962. Era un giocatore moderno (lo sarebbe anche oggi), un nove e un dieci insieme. Il passo felpato e le movente feline, gli varranno per sempre il soprannome di Pantera Nera.

Carlo Alberto Pazienza

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SPECIALE MONDIALI:

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Uruguay 1930 (Part. 2)
Italia 1934 (Part. 3)
Francia 1938 (Part. 4)
Brasile 1950 (Part. 5)
Svizzera 1954 (Part. 6)

Svezia 1958 (Part. 7)

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