In Parlamento e dintorni

Racconto breve di Dario Marcucci

I

Il vecchio Presidente si avvicina ai due Onorevoli che fanno la fila, in attesa del proprio turno. Una Deputata non ancora trentenne, e un Senatore dai capelli bianchi piuttosto lunghi e molto ben curati.

Il Presidente avvolge entrambi in un abbraccio paterno, palpando con le mani scheletriche -soprattutto- la carne fresca della Deputata: il sangue, o quello che rimane, ancora gli friccica.

– Signori miei -dice- come vedete tutto va per il meglio. E lei, sciocchina, che pareva un pulcino spaurito la prima volta qui dentro, che ne dice ora? Non va tutto come deve?-

-Signor Presidente- fa la giovane Deputata – è proprio così! Oggi mi vergogno della mia ingenuità; in fondo non so come ci sia finita qui con voi, ma a poco a poco sto imparando, sto capendo…-

-La ragazza fa progressi signor Presidente- interviene il chiomato -e pensare che solo una decina di giorni addietro continuava a ripetere la solita solfa che gli avevano insegnato, come un automa.-

– Suvvia- fa il vecchio, comprensivo -l’importante è che ora questa birbantella abbia capito che certi sproloqui, di qualunque natura siano, li conserviamo per “quelli di fuori”: qui è tra amici; anzi, qui siamo una grande famiglia… però, caro Senatore, lei, che in certe arti è maestro, lo sa meglio di me: è importante che la giovane leva non dimentichi gli slogan e le pappardelle che l’hanno portata qui. Non le dimentichi, signorina, le raffini anzi… le renda più… come dire, accattivanti; ci metta del pepe, le condisca! Più saranno condite e più “quelli di fuori” se le inoculeranno in quei cerebri atrofizzati. Il teatrino pubblico, il gioco delle parti, è il nostro palcoscenico.-

-Signor Presidente, questi suoi consigli sono un miele per me.-

Intanto la fila scorre, e i tre si avvicinano al bancone del bar.

-E lo credo bambina mia. Non sono arrivato alla soglia dei novanta, muovendo ancora le fila di baracca e burattini, per grazia ricevuta. Sono stato aiutato, certo, e io stesso ho aiutato i miei compagni, da buon camerata; qui ci si aiuta tutti, ci si sorregge. Questa è una vera comunità: ma che ne sanno “quelli di fuori”, persi nelle loro beghe e dietro le loro pie illusioni. Deve sapere signorina, che addirittura mi è capitato…-

-Oh bene, è il nostro turno!-, interviene il Senatore, a interrompere chissà quale rivelazione.

Gino, il barista, consegna le tre bustine di plastica, ben sigillate, al terzetto. Il Presidente si fa ammiccante:

-Ora, tesoro mio, non mi dica, che non sa come si prende questa medicina…-

-Signor Presidente, in questo non c’è nulla che possa insegnarmi.-

-Si vedrà, si vedrà! Venga con me, sarà un dolce rendez-vous. Lei si unisce, Senatore?-

-Mi piacerebbe signor Presidente, ma ho un affare urgente da sbrigare.-

-Vada allora, vada.-

E va.

 

II

Il Senatore, dopo esser passato alla Camera d’appartenenza a salutare qualche amico, esce da una porticina secondaria e si ritrova in strada. L’auto blu gli inchioda davanti con tempismo perfetto. Alla guida c’è Malacòth, il suo autista e uomo di fiducia. È questi un nano molto cattivo, dai capelli rossi e dalle numerose lentiggini sul viso. Per una malformazione congenita, zoppica vistosamente dalla gamba sinistra.

-Caaaaro Senatore- fa con voce lasciva -salga, salga in macchina.-

-Parti, parti Malacòth, ho bisogno di rilassarmi. Portami in quei posti che conosci tu, aggi’ a respira’.-  (il Senatore è napoletano, e quando si lascia andare tradisce leggermente l’indole partenopea).

L’auto blu sfreccia per il centro storico, in barba ai divieti e alle leggi vigenti; nel mentre Malacòth confabula al telefono per organizzare al meglio il relax del Senatore.

-Accelera! Accelera perdio!-

-Ci siamo quasi Senatore; all’hotel Palace ci aspetta Rosi la negra. L’Onorevole Augusti ha ben riferito sul suo modo di lavorare.-

-Sì, la negra! La negra – blatera il Senatore che ormai non ragiona più.-

-Vecchia volpe, so io che ci vuole per lei!- commenta il nano strizzando gli occhi e scaccolandosi.

-Non fa’ o’ guappo, che so’ sempre io che ti do da vivere.-

Giunti all’hotel, il portiere, avvezzo a tali operazioni, indica la suite già predisposta, con negra annessa, al Senatore e al suo portaborse.  Malacòth aspetta fuori, ma prima passa un’altra bustina al suo datore di lavoro.

-Tenga, tenga qui. Che credeva? Che il vecchio Malacòth non gliela portava?-

-Dammi qui, non mi ferma nessuno! La medicina mi sarà utile per domare questa bestia negra. So’ ‘na ruspa! So’ incontenibile!-

Il nano resta rannicchiato a gambe incrociate contro la porta chiusa della suite; da dentro arriva presto un concerto di grugniti e insulti, a invadere il corridoio dell’hotel Palace:

-Aaah! Aaaaaah! Negra! Negra! Zulù! (con accento napoletano) Te piace l’Italia? O sient’ o’ cazz? Piglia, piglia sta medicina… zoccola! Aaah! Mo’ t’aggi’ a sfunnà a vucc’, te piace a papaja eh? Bucchina!-

Poi silenzio. Non passano altri cinque minuti che il Senatore prende a gridare, invero con piglio femmineo! Malacòth irrompe nella suite, e s’offre alla sua vista tale spettacolo: il Senatore, completamente nudo, in ginocchio sul letto matrimoniale. Rosi la Negra riversa a terra, sul tappeto, con la testa rovesciata, la bocca semiaperta e un rivolo di bava che le cola tra le grosse labbra con le quali lavorava. Sotto il naso schiacciato c’è un nugolo di polverina bianca.

-San Gennaro!-

-Senatore mio, che ha combinato! Rosi c’ha lasciato le penne…-

Il senatore, improvvisamente pallido, poi viola, e poi di nuovo pallido, prende a piangere disperatamente.

-Aiutami tu, misero nano, aiutami! La mia vita, il mio lavoro…-

-Stia calmo, stia calmo bravuomo. Ci pensa il suo nano da battaglia a risolvere il problema. Si vesta lei, vada in un’altra stanza e mi aspetti lì. Faccio una telefonata e ci sbarazziamo di questa grana. Questo animale non è mai nato. Del resto non si fa così, quando tali fatti non son altro che accidenti? E lei non ha nemici che la vogliono mettere in mezzo, lei ha me! Si calmi Senatore, che Malacòth risolve tutto.-

Respirando a fatica, il Senatore pare ricomporsi:

-Mio Dio, che storia guaglio’… è stato comunque un diversivo. Devo tornare al lavoro. Mi raccomando amico mio, fai tutto per bene, fai tutto per bene che so essere molto generoso.- dice allisciandosi teneramente il ventre.

-Lo so bene- risponde il nano con un ghigno cattivo -lo so bene Senatore.

 

III

Mi tirai su le braghe con quel senso di sconforto che sempre mi avviluppa in tali frangenti, e mi ritrovai a rimpiangere la mia debolezza. Antonella si pulì il labbro inferiore con un fazzolettino e rinforcò i suoi occhiali compiaciuta… gran mignotta, gran mignotta che era!

-Allora commendatore- mi fece -adesso direi che siamo d’accordo?-con un sorrisino, un ghigno anzi, quasi mefistofelico. In risposta mi limitai a grugnire.

Rimise nella sua borsa in pelle da centinaia e centinaia di euro (chissà quale manzo s’era lavorata per quella), l’insulso curriculum vitae corredato di lettere di presentazione e quant’altro, una confezione di preservativi e una piccola trousse per rifarsi il trucco.

-Ci vediamo presto commendatore, mi stia bene.-

-Uhmf…-

Mentre usciva dal mio ufficio, dimenando il sedere e stacchettando rumorosamente sul parquet, pensai che quella gran troia, nel giro di poco tempo, sarebbe diventata un ministro della Repubblica.

Ebbi ragione.

di Dario Marcucci

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