Il Magnifico straniero

Clint Eastwood compie 92 anni, e non perde un colpo. Un breve racconto per omaggiarlo...

BANG!

Cade a terra, mischiandosi alla polvere. Prova a rialzare la pistola, con un rantolo tra i denti. È solo questione di secondi, lui lo sa, ma è forse l’orgoglio che prova a premere il grilletto. Un orgoglio che non basta.
Un ultimo sussulto, poi il silenzio.

Corvi.

Il passo lento e indolente si avvicina alla cassa dei dollari, con un volteggio la pistola fumante trova riposo nella fondina. Da sotto il cappello spunta il suo sguardo accigliato. Sì, ci sono tutti. Basta solo allungare le dita e afferrarli.

Un folata di vento. Polvere. Un sasso rotola alle sue spalle. Un’ombra di troppo.

In un lampo estrae e si volta, il cane della pistola già pronto.

«Ma che sei scemo?!»

Mi guarda sospettoso, e lo capisco pure. Mi ha fatto venire un infarto: per poco non faceva secco anche me. Devo stare attento, basta uno sguardo o un gesto fuori posto e mi ritrovo a fare compagnia a quell’altro imbecille. Gli mostro le mie mani nude, gli faccio vedere che so perfettamente con chi ho a che fare – chi più di me potrebbe saperlo?

Lui non dice nulla, si limita a fissarmi.

«Sì, lo so, immagino tu ti stia chiedendo cosa ci faccio qui, e ti capisco. Però, per favore, rimetti a posto quel cannone e ti prometto che ti spiegherò ogni cosa…».

Non fa la minima differenza, ovviamente. Non sarebbe certo quel decimo di secondo in più che gli ci vorrebbe per estrarre e piazzarmi una pallottola in mezzo agli occhi a salvarmi la pelle. È solo che non riesco a concentrarmi quando qualcuno mi punta una pistola in faccia, e voglio che sia chiaro quello che sto per dirgli:
«Senti, dimmi la verità: non sei un po’ stanco? Sì, voglio dire, tutto questo ammazzarsi, tutto questo spararsi addosso per dei pezzi di carta. Non ne hai abbastanza di farti strada tra mucchi di cadaveri per intascarti una manciata di dollari? Tanto sai benissimo che il giorno dopo ti ritroverai allo stesso punto da cui eri partito, che dovrai rimetterti in sella per una nuova caccia al tesoro che non avrà mai fine. Ne vale davvero la pena? Ne è valsa la pena? Io posso aiutarti».

Spero non si accorga che mi tremano le ginocchia mentre cerco di mostrarmi sicuro di me. Cerco.

«Pensaci bene: è una fatica inutile, non ti ha mai portato da nessuna parte. Sì, d’accordo, sei il migliore di tutti, il più svelto. Ma allora perché non basta mai? Perché trovi sempre l’idiota di turno che ti sottovaluta, che è convinto di poterti battere? Voglio dire, con tutta la gente che hai sulla coscienza dovrebbero avere imparato che non c’è niente da fare, che vincerai sempre tu. E invece no, è come se ogni volta dovessi spiegarglielo da capo, perché nessuno è mai abbastanza intelligente da dire: “Ehi, va bene, mi arrendo, sei il migliore, prenditi tutto quello che vuoi”. No, devi sempre dimostrare qualcosa, sparando, sudando, galoppando sotto al sole cocente, a volte persino facendoti pestare a sangue. Secondo me ne hai abbastanza, non ti pare? Dammi retta, lascia perdere. Quel denaro non ti serve. Puoi farne a meno… dallo a me».

Capisce.
Tratteggia un vago sorriso, poi accenna alla pistola, scuotendo il capo.

«Dannazione, è mai possibile che tu sia così miope?! Che cosa te ne fai, tu, di quei soldi? Che cosa ti ci sei mai comprato? Te lo dico io: niente, un dannatissimo niente! E dire che ogni volta finisce che ti intaschi una fortuna, si può sapere cosa te ne fai? Guarda me, invece: mi faccio il culo ogni volta a scrivere, rileggere, riscrivere, correggere, sistemare, aggiustare, modificare, limare e tutto il resto, e poi? E poi amici come prima, una pacca sulla spalla, mi danno qualche spicciolo e via. Così mentre io sputo sangue dalla mattina alla sera per scrivere la tua vita, per districarmi tra intrecci, svolte, scontri epici, dialoghi indimenticabili, solo per farti entrare nella storia, va a finire che tu entri nella storia, e io continuo a essere nessuno. E ci fosse uno che venga a ringraziarmi, a darmi un po’ di gratificazione, ci fosse uno che si ricordi il mio nome! Invece il tuo se lo ricordano tutti, anche se non ce l’hai. Di’, ti sembra giusto? Io dico di no. È per questo che voglio farti una proposta: io, invece di quei quattro soldi che mi danno per scrivere le tue storie, mi prendo la cassa dei dollari…»

Non sembra molto convinto, qui va a finire che mi ammazza. Calma. Devo mantenere il sangue freddo.

«Io mi prendo la cassa dei dollari, e in cambio ti prometto che nella prossima storia ti darò tutto quello che non hai mai avuto. Immagina, ti faccio iniziare che sei il proprietario di un buon ranch, magari con una moglie, dei parenti… tu, ce ne hai parenti? La mamma? Neanche la mamma… eh, sei proprio solo, come me. Siamo soli noi due: io ho te e tu hai me. Per questo dobbiamo farci compagnia, spalleggiarci. Insomma, fare una specie di società. Tu mi lasci questa miserabile cassa di dollari e io in cambio ti darò un futuro luminoso e tranquillo, che ne dici?».

Continua a fissarmi con quei maledetti occhi gelidi che si ritrova. Ci pensa un po’, grattandosi il collo. Poi finalmente si toglie il sigaro dalla bocca, espirando lentamente il fumo, con un sorriso smozzicato:
«Perché non te li vieni a prendere?»

«Non posso credere che tu sia così stupido! Dove credi di arrivare? Ti ritroverai solamente al punto di partenza, prigioniero di un cerchio che non puoi spezzare».

Non dice niente, continua semplicemente a guardarmi con quella sua instancabile aria di sfida.

«Sei proprio un ingrato. Non dimenticare che se esisti lo devi a me, e che così come ti ho creato posso farti sparire: mi basta prendere la penna e depennarti. Non tentarmi. Lasciami quei dollari e levati di torno, oppure giuro che ti cancello in un secondo! È il mio ultimo avvertimento…».

Non sorride più. Non ha più voglia di scherzare. Alza il poncho, mi mostra la pistola, stringendo il suo sigaro tra i denti:
«Stupiscimi».

Non ha paura di morire: vivere è molto più difficile. Stavolta ci rimango secco, me lo sento. Eppure…

Sì, mi basterebbe riuscire a prendere la penna che ho nel taschino della giacca. Mi basterebbe prenderla e cancellarlo prima che mi spari, che ci vuole? Quanto potrà mai essere veloce ad agguantare quel ferrovecchio?

Mi guarda. Corvi.
Lo guardo.

Faccio un passo avanti, mi sbottono il taschino.

Lui resta immobile. Calmo.

Lo guardo.

La sua mano è pronta ad afferrare la pistola.

Mi guarda.

Una goccia di sudore mi scende dalla fronte.

I suoi occhi sono imperturbabili.

Devo solo arrivare alla penna.

La sua pistola. La mia mano.

I suoi occhi. La mia penna.

La mano. Gli occhi.

Penna.

Pistola.

Penna.

Occhi.

Mano.

Pistola.

Mano.

Occhi.

Penna.

Pistola.

Mano.

Penna.

Mano.

Pistola.

Quanto è bello.

BANG!

 

di Matteo Mammucari

 

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