“I Viaggi di Gulliver”: una Divina Commedia al contrario

Gulliver come un moderno Dante; i suoi viaggi e le sue avventure come una discesa all'inferno, in cui non c'è redenzione e salvezza per l'Uomo

Tutti noi abbiamo letto nella nostra infanzia “I Viaggi di Gulliver” (“Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships“, noto semplicemente come “Gulliver’s Travels” del 1726). All’epoca ci apparve come la buffa storia di un chirurgo di bordo, appunto il dr. Lemuel Gulliver, che in seguito ad un naufragio vive le sue avventure presso diverse civiltà fantastiche.

Provate, ora, a riprendere in mano questo classico della letteratura inglese, e vi renderete conto come nelle sue pagine si annida ben più di quello che appare. Da piccoli non avevamo le chiavi interpretative che la nostra maturità ci ha ora fornito.

La trama del libro, in parole povere, è il viaggio del nostro “eroe” Gulliver in quattro diverse civiltà; i piccoli abitanti delle isole di Lilliput e Blufusco; i giganteschi personaggi di Brobdingnag; gli scienziatiinconcludenti” di Laputa; e infine il regno dei cavalli intelligenti, gli Houyhnhnms.

I mondi immaginari creati da Jonathan Swift sono il pretesto per una critica severa, in chiave satirica, del mondo reale in cui visse l’autore, l’Inghilterra tra il Seicento e il Settecento. Molti dei suoi bersagli polemici sono tuttavia più generali e riguardano l’uomo europeo moderno, se non addirittura alcuni aspetti universali della natura umana.

 

Con la tecnica di descrivere il suo mondo a un personaggio fittizio che non ne sa niente, Swift mette in bocca a Gulliver una critica e un attacco a tutti i campi della vita di quel tempo. Dietro alla trama fantasiosa e di genere avventuroso, il romanzo ha lo scopo di tracciare un ironico ritratto della società, i cui vizi e difetti vengono messi in risalto attraverso le caratteristiche dei personaggi della storia. In particolare nel 2° e soprattutto nel 4° libro attaccherà duramente il sistema inglese e quindi tutto quello europeo. Nel 3°, invece, opererà una durissima critica alla scienza, o meglio, agli estremismi in cui un’eccessiva fiducia nella ragione può portare: l’Accademia di Lagado ne è quasi una parodia, in cui tutti gli “scienziati” si dedicano a ricerche sciocche e senza senso. Naturalmente usando la sua arma preferita, l’ironia, che spesso è molto vicina ad un duro sarcasmo.

L’allegoria più discussa e analizzata dei Gulliver’s Travels è sicuramente quella del primo viaggio a Lilliput che a livello connotativo sembra fornire una descrizione aderente di fatti, persone e istituzioni dell’Inghilterra nell’età augustea.

È facile ricollegare infatti Lilliput alla stessa Inghilterra, le lotte tra i partiti dai Tacchi Alti e dai Tacchi Bassi alle relative dispute tra i partiti dei Tories e dei Whigs. Il principe di Lilliput a Giorgio I re d’Inghilterra il quale per non schierarsi apertamente con uno dei due partiti, trova il compromesso di indossare una scarpa dal tacco alto e una dal tacco basso. Di conseguenza Blefuscu incarna la rivale storica dell’Inghilterra, ovvero la Francia.

 

Ciò che di questo libro mi ha colpito particolarmente è l’averlo letto come una “modernaDivina Commedia al contrario.

Il nostro italico Dante compie il suo viaggio nei tre mondi ultraterreni (Inferno, Purgatorio e Paradiso) come una forma di purificazione per l’intero genere umano, trascendendo se stesso fino al contatto con il divino. Mentre i viaggi compiuti da Gulliver, possiamo interpretarli come un’insolita discesa verso gli inferi.

A emblematica conclusione di questa caduta vi è la disperazione e la follia di Gulliver per la scoperta che l’uomo non è altro che la versione degenerata degli Yahoo (esseri bestiali e mostruosi tra lo scimmiesco e l’umano, dominati dagli Houyhnhnm), nel quale la ragione non ha sortito altro esito che quello di complicare e aumentare le esigenze umane, trasformandosi in malizia, ipocrisia, lussuria, avidità e distruttività. Una volta tornato a casa, disgustato dai suoi simili, passa quatto ore al giorno a parlare con dei normali cavalli che forse lo capiscono, ma non gli rispondono.

La maturazione personale, che discende dalle esperienze fatte in viaggio, per Gulliver non si tramuta in saggezza, lo porta, invece, alla follia. Il narratore-viaggiatore, divenuto alieno dopo essersi identificato totalmente con i saggi Cavalli, vede il nostro mondo come un ammasso di mostri che ispirano solo ribrezzo. Lo straniamento ha qui il suo culmine con il passaggio dall’ignoranza ingenua, alla nevrosi e alla follia, trasformando l’uomo in estraneo, in mostro.

Katia Valentini

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