Ho giurato sulla prima domenica dell’anno

Flavio Giurato. Roma. Ritorni e Inizi.

. «Figliola non andare coi cantautori […]
Che poi finisci nelle canzoni»

 

La prima domenica dell’anno è quella che decido di passare fuori dal mio paese, sperduto ai confini tra la provincia romana e la provincia latinense. Al centro tra i Lepini e i Castelli Romani. È la prima domenica dell’anno e mi concedo di fare regali e di regalarmi qualcosa. Qualcosa che mi faccia stare, non dico bene o male, che mi faccia stare e basta. E magari, restare. Se il pomeriggio sa di tè verde al gelsomino e vaniglia accompagnato da una torta tutta rossa, ai lamponi. Sa di pranzi saltati, di compleanni, di paesini vicino al mio, di strade tortuose e del freddo che finalmente è arrivato. fg_8Dell’inverno che mi ricorda che è il modo più geniale per vederti pure respirare. La sera, anzi la notte, che cala così presto, sa di una Roma deserta, del silenzio, dell’autostrada libera. Sa di Flavio Giurato.

 

 

È questo il regalo che mi faccio: la scoperta e la conoscenza viva e reale di Flavio Giurato, che l’autunno scorso mi ha donato. Con la curiosità di una bambina al primo giorno di scuola, arrivo al Beba do Samba. Anche qui per la prima volta, questa via de’ Messapi che sa tanto di primo ginnasio. Entro nella stanza quasi completamente al buio, concerto appena iniziato. Flavio alla voce e chitarra, Federico e Daniele al basso e percussioni, sullo sfondo di vetro. Mi siedo a terra, avvolta da una coperta di silenzio che il pubblico riesce a tenere per tutta la durata del concerto.

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Mi accorgo subito che non è un concerto normale. Qui la gente sta zitta, rispetta le pause che Flavio vuole prendersi, tra chitarre che non si vogliono far accordare e stanchezza. Perché Flavio può permettersi di cantare lontano dal microfono e tutti sentiamo e capiamo le parole. Perché non ci sono luci stroboscopiche a distrarci ma semplicemente due lucine e la piccola lucina da taschino che porta attaccata ai pantaloni, nonostante ciò “c’è pure troppa luce”.

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Perché Flavio è vero, è da ascoltare al buio, perché si scende nell’abisso delle fogne di Roma, dell’oceano dove “Il tuffatore” si butterà e risalirà, nel cielo che taglia e cuce, nel sole che non c’è più (nemmeno a Centocelle), nelle storie di Marco e Monica, nel passato discografico di Flavio. In quello presente col suo ultimo “La scomparsa di Majorana” e nel suo futuro, perché ce l’ha promesso che farà un nuovo disco a breve. E giù con le bombe su San Lorenzo del 19 Luglio 1943 con “Il Rondone”, uomini dell’era di ghiaccio, papi Franceschi e Joseph Conrad. E pezzi di vetro in frantumi in “Digos” e tutto diventa reale, che si alzano dal pubblico e calpestano un bicchiere di fianco a me. E su con i brividi di “In caso di cura”.

E qui mi fermo, al centro del concerto, come se avessi preso un sasso in pieno. Perché Flavio colpisce, tira sassate, urla, strilla a bassa voce. E l’odore del manicomio e del pompelmo si sente anche dentro la stanza, e conventi vicino l’Umbria e quanto mi manca. E la sicurezza che le stelle oltre il muro danno anche agli occhi chiusi. La sicurezza che la distanza si colmerà soltanto con gli abbracci.

 

Finito il concerto, cala il buio su una San Lorenzo senza stelle e deserta. Flavio resta lì a vendere i suoi dischi, a rimettere in ordine le poche cose, a tenere sempre accesa la lucina stavolta al collo. La sala si svuota e lui è ancora lì. Perché alla fine i cantautori restano sempre soli, mi fanno notare. Ma Flavio è un dinosauro, di quelli superstiti alle catastrofi e ha denti e artigli affilati per sfoderare un nuovo disco. E urlarcelo addosso.

E io mi voglio regalare il silenzio del pubblico, i concerti nei posti sconosciuti, bicchieri rotti, cornetti, amici che ti aspettano, discorsi sulle pellicole e le camere oscure. Autostrade e il giro del raccordo anulare, tutti i paesi dei Castelli Romani da percorrere. E i viaggi di notte da sola, i ritorni a casa e il cielo rosso. I messaggi alle 4.00 del mattino anche se è ancora notte per chi ancora deve prender sonno. E kilometri di strade senza contorni. Su e giù. Come Marco e Monica.

 

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« […] L’alba come sempre sarà l’unica scelta
L’ intanto non credete a chi vi sfotte e vi insulta
La rinascita deve avervi come testimoni
Venite ai concerti per stare insieme
Per dividere una buona emozione
Per vedere se si può ancora soffrire di manifestazione […] »

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Foto & Parole: Sofia Bucci.

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13 Comments

  • non lo conoscevo bene. sembra che taglia l’anima come pochi
    e’ stato bello conoscerlo meglio grazie a questo bel post

  • il pezzo e’ bellissimo. parole forti. splendide pure quelle di Bucci … sempre sognante e bravissima
    deve essere stato un bel concerto in un atmosfera speciale , dove la musica riempe l’ aria , e i sentimenti la rincorrono

  • attraverso le foto sembra di vivere per un secondo quella serata , quel buio freddo riscaldato solo da Giurato, veramente un grande

  • […]”Un sasso gettato in un quieto stagno
    singhiozza come il tuo nome suona.
    Nel leggero suono degli zoccoli notturni
    il tuo nome rumoroso rimbomba.
    E ce lo nomina lo scatto sonoro
    del grilletto contro la tempia.
    Il tuo nome – ah, non si può! –
    Il tuo nome è un bacio sugli occhi,
    sul tenero freddo delle palpebre immobili.
    Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
    Un sorso di fonte, gelato, turchino.

    Con il tuo nome il sonno è profondo.”
    [Marina Cvetaeva]

    ..e mi tornano in mente questi versi con “in caso di cura”.

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