Girls In Hawaii @ Monk (Roma) -04/2018

La band belga è passata per l'Italia dopo anni di assenza per presentare il nuovo album fatto di un perfetto pop arricchito da sontuosi arrangiamenti e da melodie inzuppate di malinconia

Tanta bella musica è questo quello che hanno ascoltato i pochi eletti presenti al concerto dei Girls in Hawaii al Monk venerdì 20 Aprile.
Serata aperta dagli ottimi Lor Lai dal sound verdeniano, a loro volta anticipati nella saletta del Monk dal polistrumentista elettronico Xavier, uno che farebbe impallidire Patrick Wolf per impegno e complessità della performance.

Poi arrivano loro. Oltre 14 anni di carriera. Passati attraverso incredibili sofferenze. Rimasti uno dei punti di riferimenti per l’elettropop d’autore belga ed europeo. Un gruppone di 6 ragazzi capitanati da Antoine Wielemans (con cui abbiamo fatto due chiacchiere), una voce pura, forte ed autentica. Terribilmente triste ma lenitiva allo stesso tempo.

La band belga si è divertita a Roma a suonare e a far danzare ed oscillare i giovani corpi dei loro fan con pezzi, oramai classici, come:
la dolcissima sonata da carillon “This light“; la asettica e ipnotica “Indifference“; il capolavoro del vuoto “Misses“; la libertina “Sun of the sons“;
la ritmata kraftwerkiana “Walk” (con un video assolutamente meraviglioso); la moderna e camaleontica “Rorschach” e poi tornati per il bis sul palco con la sospirata “Flavor” e la bellissima “Guinea Pig” probabilmente il punto più alto dell’album “Nocturne“.

Un concerto e una musica solo apparentemente freddi, ma in realtà permeati di calore umano – e della sua disperata mancanza – e soprattutto di una sensibilità artistica musicale altissima. Sensibilità che è trasparsa anche dalla chiacchierata che abbiamo avuto con Antoine Wielemans dopo il concerto:

Dove scrivete, quali sono i posti che ispirano le vostre canzoni e le vostre storie?

Solitamente ci rifugiamo in campagna. Prendiamo e partiamo. Stiamo lì settimane, a volte anche mesi e cerchiamo rilassarci ed immergerci nella natura. È lì che troviamo l’ispirazione.
Può succedere anche in tour, ma principalmente è il countryside Belga il nostro posto.

Siete molto riflessivi, forse è anche questo il motivo per cui sono passati molti anni da un album all’altro. Cercate di non essere dei produttori ma dei creatori, sbaglio?

Sì, verissimo. Abbiamo un processo di creazione molto lento ed imprevedibile. Cerchiamo di vivere la nostra vita e poi raffiniamo lentamente le nostre canzoni. “Nocturne” è stato un album che volevamo fare da tanto tempo e ci è voluto decisamente molto tempo, quattro anni quasi a finirlo, per “Everest” ce ne vollero anche cinque. Ci piace pensarci bene su.

 

Avete qualche band o cantante che vi ha segnato da un punto di formazione artistica? Perché io sento moltissimo New Order, Krafterk ed anche se sono vostri contemporanei gli Of Montreal e infine – e scusami spero che non ti offenda – i Coldplay, specialmente l’album A “Rush of Blood to the Head”.

Si ci sono delle band del passato che ammiriamo e dalle quali prendiamo sicuramente in parte ispirazione. Come hai detto te i Krafterk li adoriamo ad esempio. “A Rush of Blood to the Head” è un album fantastico. Ma più che da delle band in particolare noi siamo ispirati dal suono. Dai suoni. È quella la nostra vera fonte di ispirazione musicale.

 

Allora spero che continuerete ad essere sempre cosi ispirati, Grazie Antoine.

Grazie a te per la bella chiacchierata. Come hai detto che ti chiami?

 

“Gabriele”.

Grazie Gabriele.

 

Gabriele Edoardo Mastroianni

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