Il Giovane Papa di Paolo Sorrentino

Il respiro della serialità televisiva consegna al regista napoletano un tempo e un luogo in cui l’esigenza di un’ampiezza creativa altra, rispetto a chiunque altro, si compie perfettamente

.«[…] come si gestisce e si manipola quotidianamente il potere in uno Stato che ha come dogma e come imperativo morale la rinuncia al potere e l’amore disinteressato verso il prossimo. Di tutto questo parla The Young Pope».
Paolo Sorrentino

 

 

Quella di Sorrentino è una serie Tv che sa di cinema.
La serie Tv era stata annunciata lo scorso marzo e le riprese sono iniziate a luglio a Villa Lante di Bagnaia, in provincia di Viterbo.

Lo scorso marzo Sorrentino aveva assicurato che la serie Tv non ha «Nessun intento scandalistico ma vuole raccontare la vita quotidiana. Insomma, non avrà quell’approccio all’americana in cui il Vaticano è questo luogo oscuro e misterioso», e che «Sarà un po’ “Habemus Papam”, un po’ “Il giovane Ratzinger”». Al Festival del cinema di Cannes Sorrentino aveva detto che “The Young Pope” «Affronta argomenti complicati che si prestano a una narrazione ampia. Ho l’occasione di fare un uso della televisione libero e intelligente, un po’ come al cinema. Una cosa che fino a dieci anni fa non era possibile».

Le prime due puntate sono state presentate in anteprima mondiale lo scorso 3 settembre alla 73esima edizione del Festival di Venezia.

The Young Pope” di Paolo Sorrentino con Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando, Scott Shepherd, Cècile de France, Javier Camara… racconta, in dieci episodi, la storia di Lenny Belardo, alias Pio XIII, il primo papa americano della storia. Giovane e affascinante, la sua elezione sembrerebbe il risultato di una strategia mediatica semplice ed efficace del collegio cardinalizio. Papa Pio XIII ed ha un «Visino telegenico»: parola degli anziani cardinali che cospirano nei giardini del Vaticano. Questo primo Papa americano lo giudicano un mistero incomprensibile come la Sacra Sindone, un «Burattino mediatico» che vogliono manipolare. Ma, com’è noto, le apparenze ingannano. Soprattutto nel luogo e tra le persone che hanno scelto il grande mistero di Dio come bussola della loro esistenza. Quel luogo è il Vaticano, quelle persone sono i vertici della Chiesa. E il più misterioso e contraddittorio di tutti si rivela Pio XIII. Scaltro e ingenuo, ironico e pedante, antico e modernissimo, dubbioso e risoluto, addolorato e spietato, Pio XIII prova ad attraversare il lunghissimo fiume della solitudine dell’uomo per trovare un Dio da regalare agli uomini. E a se stesso.

Papa Pio XIII, “il papa giovaneJude Law, un personaggio che racchiude in sé oltre la giovane età anche la scaltrezza, l’astuzia ma anche l’ingenuità e l’ambizione. È un Papa spigoloso, imprevedibile, solitario, contraddittorio, tradizionalista, che rinvia il primo discorso ufficiale dal balcone della Basilica di San Pietro perché vuole essere invisibile come una rockstar, vuole negarsi agli sguardi come Salinger e Mina (sono parole sue). E infatti nella prima omelia notturna il Papa rock resta nella penombra, qui c’è il senso del suo pontificato. Le sue prime parole ai fedeli raccolti in piazza sono severe, non fa nulla per compiacerli: «Vi siete dimenticati di Dio, non vi sarò mai vicino, sarò più vicino a Dio che a voi, non ho nulla da dire a chi nutre dubbi su Dio, siete voi che dovete provare che non esiste. Non vi indicherò nessuna strada: cercatela. Non so se voi mi meritate». Insomma un mix di elementi che assicurano inaspettati colpi di scena. Ma dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna, ed in questo caso il giovane papa, Pio XIII, deve la sua elezione proprio ad una suoraSuor Mary – interpretata da Diane Keaton.

Il cinema di Sorrentino è un’arte che racconta il potere totale, umano e divino, nelle sue intercapedini, da sempre. Non rinuncia mai a mostrarci le crepe nelle leggende, nelle icone, il suo Pio XIII ha la presunzione e la vacuità del suo divo Andreotti ma anche la capacità di raccontare con medievale modernità una Chiesa più vicina a “Game of Thrones” che a Nanni Moretti.

Molte frasi a effetto e scene forti: quando nella sua prima omelia Papa Pio XIII sogna di esortare i fedeli a usare contraccettivi e a fare i figli in tutti i modi che si vuole, senza sentirsi in colpa, perché l’unico modo per essere felice è la libertà; quando una Guardia Svizzera fa l’amore con una ragazza bionda che sembra un angelo; quando Papa-Law chiede al capo della congregazione per il clero (colui che forma i sacerdoti): sei omosessuale? E lui dopo un silenzio interminabile risponde: sì.
Lenny è un pontefice rivoluzionario e conservatore. Non rappresenta Dio, vuole esserlo. Impossibile non vedere in lui la rivoluzione mediatica attuale, ma come dice Pio XIII, il presente è una feritoia per due soli occhi. Quelli del regista che dribbla l’attualità senza ignorarla, che consegna alle sue trovate i tasselli di un mosaico e alle sue scene madri un’opera che ha l’ambizione di andare oltre.

E al di là della scena onirica iniziale che farà discutere – il Papa che esce letteralmente da una montagna di neonati – e della grandiosità dell’immaginario di questo racconto epico e (anti)etico, dei geniali colpi di tacco del suo regista, sono i piccoli dettagli delle inquadrature, le sfumature della recitazione dei suoi protagonisti – su tutti Silvio Orlando e Diane Keaton, ma anche Jude Law, gelidamente istrionico e fragilmente spietato -, le virgole di alcuni dialoghi a fare le differenze. E a farci capire che, forse, quei dubbi che si facevano strada in chi vedeva gli ultimi tre film del cineasta napoletano, vengono dissipati da quella che appare come la grammatica più adatta, ora, al suo talento. La serialità televisiva gli consegna un respiro, un tempo e un luogo in cui le sue intuizioni, i suoi colpi d’ala, l’esigenza di un’ampiezza creativa altra, rispetto a chiunque altro, si compie perfettamente.

 

Katia Valentini

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