Germania 74 -La grande illusione Arancione (Speciale Mondiali -Part. 11)

I tedeschi ebbero di nuovo la meglio su un avversario migliore sovvertendo il pronostico; mentre l'Italia usciva inaspettatamente e Crujiff incantava tutti

Negli anni sessanta il calcio era diventato uno sport praticato e seguito in ogni angolo del pianeta. Le competizioni di club e nazionali acquistavano via via sempre più spessore e competitività, necessitando dunque di una programmazione sempre più lungimirante. Ecco perché per assegnare la sede della decima edizione della Coppa Rimet, la Fifa si riunì a Londra addirittura 8 anni prima, il 6 luglio 1966. Volendo rispettare l’alternanza Europa-Sudamerica, alla fine se la giocarono Spagna e Germania, con i tedeschi che riuscirono a spuntarla ed ottenere l’organizzazione del mondiale 1974.

 

Per comprendere l’importanza di questa edizione per i tedeschi, è necessario spostare indietro le lancette di un paio d’anni. Il 5 settembre 1972, durante le Olimpiadi organizzate a Monaco di Baviera, un commando palestinese attaccò una palazzina in cui alloggiava la rappresentativa israeliana presente ai giochi. Un attentato che costò la vita ad 11 atleti israeliani e che si concluse con la fallimentare operazione di salvataggio all’aeroporto di Fuesterfeldbruck in cui morirono anche 5 terroristi palestinesi e due agenti di polizia.

Quelle sarebbero dovute essere le Olimpiadi dellaperfektion”, una grande festa dello sport fortemente voluta dai tedeschi per ridare lustro all’immagine della Germania del dopoguerra. Il tutto prese vita in un’atmosfera di rilassatezza e di gioia connaturata all’evento, nella quale fu deciso di mantenere la sicurezza a livelli molto bassi per non suscitare ricordi legati alla Germania nazista. Per questo motivo due anni dopo gli organizzatori tedeschi non lasciarono nulla al caso. Ogni spettatore e addetto ai lavori venne passato al vaglio di una sorveglianza scrupolosa e capillare, con le forze di polizia che pattugliavano gli stadi prima e durante ogni incontro, e vigilavano senza distrazioni le sedi dei ritiri delle squadre nazionali. Un sistema di sicurezza estremo che si occupava di scortare ogni rappresentativa per ogni incontro, dal ritiro fino all’ingresso nello stadio, e dallo stadio fino all’albergo dopo la partita.

 

La nuova Coppa del Mondo

Consegnata definitivamente nelle mani dei brasiliani la Coppa Jules Rimet, la Fifa si preoccupò di mettere in palio un nuovo trofeo. La nuova coppa venne commissionata ad un artista italiano, Silvio Gazzaniga, che con la sua proposta sbaragliò la concorrenza di oltre 50 opere. Il nuovo trofeo raffigurava due atleti con il volto radioso della vittoria e le mani levate al cielo per sorreggere il globo terrestre, era alto 36 cm e pesava 6175g; la struttura era in oro massiccio 18 carati, e la base cinta da due bande di malachite. La nuova Coppa del Mondo sarebbe rimasta per sempre di proprietà della Fifa, e le squadre vincitrici dal 1974 in poi sarebbero dovute accontentarsi di riceverne una copia più piccola e più leggera, e di vedere il proprio nome iscritto su una delle targhette che ne adornano la base.

Alla decima edizione della Coppa del Mondo si iscrissero ben 94 nazioni, un dato crescente rappresentato sopratutto dai paesi africani che reclamavano sempre più spazio nella cartina dello sport più giocato al mondo. Sarà il neo eletto presidente Fifa Joao Avelange, aiutato proprio dai voti delle federazioni africane, ad allargare progressivamente lo spazio per le partecipanti ai mondiali. Per soddisfare le esigenze televisive si decise anche di aumentare il numero delle partite: dopo il consueto girone a 4 con le 16 partecipanti, le otto restanti formazioni si sarebbero scontrate in altri due gruppi da 4; le vincenti di questi due gironi avrebbero disputato la finalissima, le seconde la finale per il 3° e 4° posto.

 

Calcio totale e Azzurri imbattibili

L’Italia per una volta tanto si presentava all’appuntamento mondiale come favorita numero uno per la vittoria. La bella figura in Messico permise al ct Valcareggi di conservare la panchina e guidare la Nazionale anche verso gli Europei 1972: dopo aver superato brillantemente il girone di qualificazione però, gli Azzurri si fermarono nei quarti di finali eliminati a sorpresa del Belgio.

Dopo questa cocente delusione l’Italia ripartì per le qualificazioni a Germania ’74 e Valcareggi dette via ad un profondo ringiovanimento. Ai campioni un po’ logori del Messico il ct affiancò volti nuovi come Capello, Bellugi e Benetti, Zoff prese il posto di Albertosi e Chinaglia cominciò a scalzare Anastasi e Boninsegna. Da quella sconfitta contro il Belgio gli azzurri inaugurarono una lunga striscia di risultati positivi che li portò imbattuti fino all’esordio mondiale di due anni dopo. Addirittura la porta di Zoff rimase inviolata per 12 gare tra qualificazioni ai Mondiali ed amichevoli, per un totale di 1.097′. Nel giugno ’73 la Federazione organizzò una doppia amichevole contro Inghilterra e Brasile per festeggiare il 75° anniversario dalla fondazione. La squadra di Valcareggi non fece una piega, battendo sia auriverdi che inglesi, questi per la prima volta, per 2-0. qualche mese più tardi i britannici vollero la rivincita a Wembley. L’occasione era festeggiare il matrimonio della principessa Anna, unica figlia femmina della Regina Elisabetta, ma le parate di Zoff e il gol di Capello rovinarono la festa a Sua Maestà e permisero all’Italia di battere per la prima volta l’Inghilterra in casa sua.

 

Se l’Italia come detto si presentava a questo mondiale da favorita, imbattuta da due anni e forte di una squadra coesa e collaudata, non da meno era l’Olanda. Nei Paesi Bassi il professionismo nel calcio arrivò negli anni ’60, e i risultati della prima generazione che collaudò il nuovo ordinamento calcistico non si fecero attendere. Nel 1969 l’Ajax di Amsterdam, fino ad allora praticamente sconosciuta nel calcio delle big europee, raggiunse la finale di Coppa Campioni ma venne sconfitta 4-1 dal grande Milan di Rocco, Rivera e Prati. La riscossa orange arrivò però l’anno dopo, quando il Feyenord di Van Hanegem e dell’olandese Kinvall si aggiudicò il trofeo battendo in finale il Celtic per 3-1. Quello però fu solo l’antipasto: per 3 stagioni dal 1971 la scena europea fu tutta dei lancieri di Amsterdam, che arricchirono la loro bacheca di tre Coppe Campioni battendo consecutivamente Panathinaikos, Inter e Juventus. Il segreto di quel dominio fu da attribuirsi alla grande rivoluzione che il calcio olandese portò in quegli anni. Un calcio non solo mai visto prima ma nemmeno mai pensato.

Il ‘calcio totale‘ era un sistema di gioco in cui non c’erano schemi fissi e dove tutti i giocatori partecipavano alla costruzione del gioco. I terzini attaccavano e gli attaccanti difendevano, creando una sorta di ‘caos organizzato‘ agevolato dalla tecnica sopraffina di quel gruppo di giocatori. Un vero gioco a ‘fisarmonica’ senza punti di riferimento per gli avversari, dispendioso sul piano fisico e nervoso per l’alta concentrazione che richiedeva. E siccome era fondata su campioni dell’Ajax come Crujff, Neeskens, Krol e Rep, la Nazionale olandese guidata da Rinus Michles si fece portatrice di quel rivoluzionario sistema che incantò il mondo e che la posizionava tra le favorite al titolo.

Una cerchia ristretta in cui figuravano ovviamente anche i padroni di casa della Germania Ovest, che potevano contare sull’ossatura di 4 anni prima composta da Mayer, Beckenbauer, Muller e qualche nuovo innesto come Paul Breitner e Uli Hoeness, e il Brasile campione in carica, che orfano di Pelè aveva ancora fuoriclasse come Jairzinho e Rivelino ma si presentava con una formazione del tutto rinnovata.

 

La partita che non si giocò

Tre le grandi escluse di quel mondiale: l’Inghilterra, eliminata nel girone di qualificazione dalla sorprendente Polonia medaglia d’oro alle Olimpiadi di Monaco, la Francia e la Spagna, rispettivamente superate nel proprio raggruppamento da Urss e Jugoslavia. Per ottenere il pass a Germania 1974 però i sovietici dovettero effettuare uno spareggio contro la terza qualificata del Sudamerica, il Cile. Dopo lo 0-0 dell’andata, giocato a Mosca il 26 settembre 1973, il ritorno era in programma a Santiago il 21 novembre. In Cile però la situazione era tutt’altro che serena: l’11 settembre il commando militare di Pinochet aveva soverchiato il governo di Salvador Allende salendo al potere con la forza. Pinochet operò subito una caccia spietata a tutti gli oppositori del regime, trasformando lo stadio della capitale in un lager dove venivano rinchiusi i dissidenti. In vista della gara di ritorno contro l’Urss, il governo si occupò di trasferire in altri ‘luoghi di morte’ tutti i prigionieri, ma la Federazione sovietica comunicò l’intenzione di non voler disputare l’incontro in un campo prigione di dissidenti politici. La Fifa confermò l’incontro, e quel giorno a Santiago di fatto si giocò una partita fantasma: da una parte il campo vuoto, dall’altra la formazione cilena schierata e ‘obbligata’ a segnare un gol simbolico senza avversari davanti. La Fifa omologò la vittoria a tavolino, il Cile era qualificato ai mondiali 1974.

Chiudevano il cerchio delle partecipanti Svezia, Germania Est, Bulgaria, Scozia, Uruguay, Argentina, Haiti, Zaire e Australia.

 

L’utopia olandese resta incompiuta

Il Gruppo A mise insieme per la prima e unica volta nella storia dei mondiale le due Germania. I padroni di casa faticarono con il Cile (1-0) e batterono in scioltezza l’Australia per 3-0, mentre l’altra Germania superò gli australiani e pareggiò con i sudamericani. Il 3° turno propose dunque un derby storico: nonostante i favori del pronostico volgessero verso la Germania Ovest, peraltro già qualificata, gli orientali riuscirono reggere fino al 77′ quando Jurgen Sparwasser, bomber del Magdeburgo fresco vincitore della Coppa delle Coppe contro il Milan di Trapattoni, infilò Mayer regalando ai cugini poveri della Germania Est una gioia indimenticabile.

Poche difficoltà per la macchina olandese, che vinse il proprio girone battendo 2-0 l’Uruguay, 4-1 la Bulgaria e pareggiando 0-0 con gli svedesi che si qualificarono come secondi.

Brasile, Scozia e Jugoslavia si giocarono l’accesso alla fase successiva nel Gruppo 2, pareggiando fra di se e battendo tutte e tre lo Zaire; a fare la differenza fu la differenza reti: il 9-0 inflitto agli africani garantì alla Jugoslavia la vittoria del girone, mentre i 3 gol segnati dal Brasile, uno in più degli scozzesi, permisero ai carioca di qualificarsi come secondi.

 

L’Italia esordì al Mondiale tedesco il 15 giugno contro Haiti, impegno reputato poco più di un allenamento. La presunzione però fece un brutto scherzo agli azzurri, che dopo aver fallito numerose occasioni da gol si trovarono sotto 1-0 per il gol di Sanon, rete che fermava a 1.143 l’imbattibilità di Dino Zoff. L’Italia si dette una svegliata, trovando con Rivera, l’autorete di Auguste e Anastasi i gol che fissarono il 3-1 finale. Nella seconda partita contro l’Argentina un altro autogol, stavolta provocato da Perfume, permise agli azzurri di pareggiare la rete di Houseman e ad andarsi a giocare la qualificazione contro la Polonia già qualificata avendo a disposizione due risultati su tre. I polacchi però non fecero sconti: Szarmach e Deyna segnarono due reti fantastiche, e il gol di Capello a 5′ dalla fine servì solo ad accorciare le distanze. Polonia qualificata come prima e Italia fuori in favore dell’Argentina qualificata per la miglior differenza reti.

 

Nell’altro girone l’Olanda dimostrò la sua impressionante grandezza impartendo una severa lezione di calcio a tutte le sue avversarie: 4-0 all’Argentina, 2-0 alla Germania Est e 2-0 al Brasile. Con 8 reti segnate e nessuna subita gli Orange volarono verso la loro prima finale mondiale.

Privo di smagliature anche il cammino della Germania Ovest, capace di chiudere in testa il proprio girone battendo Jugoslavia (2-0), Svezia (4-2) e Polonia (1-0).

 

I polacchi chiusero al meglio il proprio mondiale con un storico 3° posto ottenuto nella finalina contro il Brasile. Decisivo il gol di Lato, eletto capocannoniere del Mondiale con 7 reti, a 14′ dalla fine.

 

Il 7 luglio più di 80.000 spettatori affollarono il nuovissimo OlympiaStadion di Monaco per assistere alla finale della 10^ Coppa del Mondo tra Germania Ovest e Olanda

Gli arancioni godevano dei favori del pronostico: in quel mondiale avevano mostrato un calcio tanto rivoluzionario quanto efficace. Dopo aver dato spettacolo in 6 gare si concentrarono per suonare la settima sinfonia, l’ultima. La loro opera però , la più bella, durò solo un minuto e 18′. Già perché partito il fischio d’inizio dalla bocca dell’arbitro inglese Taylor, dopo una dozzina di passaggi a centrocampo Crujiff partì palla al piede dalla tre quarti, evitò un paio di avversari e giunto in area fu steso da Berti Vogst. Il netto calcio di rigore venne trasformato da Neeskens: Olanda 1 Germania Ovest 0.

Gli arancioni, già sicuri di avere la Coppa in tasca, iniziarono un’irriverente melina dando modo ai tedeschi di riacquistare fiducia. Al 26′ Holzenbein partì in dribbling seminando un paio di arrivarsi e arrivato in area venne fermato irregolarmente da Jansen. Rigore, battuta di Breitner e palla in rete: 1-1. L’armata Orange continuò a fare il suo gioco, ma nella più classica delle azioni di contropiede, proprio poco prima dell’intervallo, i tedeschi colpirono ancora: azione dalla destra di Bonhof che mise la palla in mezzo, incredibile torsione di Muller che eluse la guardia di Krol e superò Jongbloed con un diagonale ravvicinato.

Gli Olandesi rientrarono negli spogliatoi storditi: avevano giocato meglio, ma erano sotto. La  ripresa fu un assedio, ma la difesa tedesca si dimostrò invalicabile e respinse tutti gli attacchi olandesi. Tutto inutile: a vent’anni dall’ultimo trionfo la Germania Ovest tornava sul tetto del Mondo.

 

Per la seconda volta i tedeschi avevano avuto la meglio di un avversario più forte. Ancora una volta gli uomini in maglia bianca avevano sovvertito il pronostico.

Nonostante la sconfitta della sua squadra, la stella che brillò su quel mondiale aveva riflessi di color arancione. Johan Crujiff, o se preferite il Profeta del Gol o il Pelè bianco, fu il grande protagonista dell’edizione tedesca. Il giocatore simbolo della rivoluzione olandese, dotato di tecnica sopraffina, visione di gioco, straordinaria rapidità nel costruire e finalizzare l’azione. Caratteristiche che gli permisero di entrare nella storia del calcio alzando tre Coppe dei Campioni consecutive e tre Palloni d’Oro.

Carlo Alberto Pazienza

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SPECIALE MONDIALI:

> “World Cup Story -Il gioco più bello del mondo” (Part. 1)
Uruguay 1930 (Part. 2)
Italia 1934 (Part. 3)
Francia 1938 (Part. 4)
Brasile 1950 (Part. 5)
Svizzera 1954 (Part. 6)

Svezia 1958 (Part. 7)

Cile 1962 (Part. 8)

> Inghilterra 66 (Part. 9)

 

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