Filosofia della parolaccia

«In ogni casa dovrebbe esserci una stanza per imprecare. È pericoloso dover reprimere un'emozione del genere» Mark Twain

Pensare troppo fa male, ma pensare in giusta misura può giovare. Se si prova a dare un significato alle cose per adeguarvi le proprie azioni, non si sconfina nel campo delle pippe mentali, ma ci si aiuta nell’arte difficilissima di capire sé stessi e il mondo che ci circonda. Le mie riflessioni sulle parolacce hanno esattamente questo scopo, non essendo il frutto di uno studio ma il risultato del mio difetto di rincorrere sempre un senso e una coerenza. Poiché l’articolo è molto condito, il lettore sappia che non c’è alcuna intenzione di urtare la sua sensibilità. Piuttosto, in un mondo fatto di noiosi e di copioni, incuriosire e stimolare sarebbe già un risultato notevole.

Si è soliti credere che le parolacce servano a sfogarsi o ad offendere, senza spingersi mai oltre per indagare sulla loro essenza. Io, portando il mio magnifico labrador quattro volte al giorno per strada a fare la pipì, ho molto tempo per pensare. Quindi c’ho riflettuto sopra ed ho concluso che le parolacce hanno tutte un’unica ragione profonda: la negazione della vita. Provo subito a spiegarmi meglio.

Ho diviso le parolacce in due grossi gruppi, quelle che hanno provenienza sessuale e quelle che non ce l’hanno.

Quando le parolacce sono di provenienza sessuale, ho notato che non si fa mai riferimento alla fecondazione, che è la nascita della vita. Avete mai sentito improperi del tipo “se non la smetti ti metto incinta?” Certamente no. Al contrario, non è un caso che la regina delle parolacce italiane sia “vaffanculo”. “Vaffanculo” significa testualmente fatti penetrare, diciamo così, dall’entrata di servizio. Ebbene, questa pratica, com’è notorio, non consente la proliferazione, quindi assicura alla parte attiva del rapporto sessuale d’ottenere piacere senza correre il rischio d’avere ancora a che fare con la persona a cui rivolgiamo questa offesa. Mentre per natura il sesso serve alla nascita d’una nuova vita, questo tipo di rapporto, non consentendolo, nega la vita. Nega la vita allo stesso modo d’ogni altra parolaccia, come vedremo.

Sono sempre stato incuriosito da un’espressione molto usata da noi meridionali, “non mi cacare il cazzo”. La si usa quando non se ne può più di quell’insistenza o di quella scocciatura, quando si è al preludio della rottura dei nervi o quando se n’è già varcata la soglia. In genere questa frase viene accompagnata da un tono forte, perentorio, conclusivo, come quando il superiore si rivolge al subordinato. Infatti essa possiede dei connotati dai tratti molto gerarchici, a ben pensarci. Cercando di tradurla in maniera non volgare, potremmo dire che essa significhi qualcosa come non espellermi dal tuo sedere. Detto altrimenti, la sua esegesi potrebbe essere questa: chi la pronuncia intima all’interlocutore di non azzardarsi ad interrompere il suo godimento ai suoi danni. Anche qui si tratta d’un godimento che presenta il pregio d’essere il più vantaggioso possibile, essendo senza rischio di proliferazione e non potendosene trarre che benefici fisici. Dunque, siamo ancora in presenza d’un modo d’usare il sesso che non è funzionale alla vita, che nega la vita, nonostante ovulo e seme siano ingredienti inventati proprio per salvaguardare le nuove nascite.

Ma la riprova di quel che sostengo me la offre certamente l’espressione “ti sputo in faccia”. Questa espressione è molto scurrile e la sua spiegazione è assai colorita. Essendo tra le più toccanti, combatte certamente per la medaglia d’oro delle espressioni forti, quindi non si può prescindere dalla sua analisi se si vuole indagare sull’essenza delle parolacce. Pertanto, senza tagliare dal pezzo questo fondamentale passaggio, corre l’obbligo d’invitare il lettore più sensibile a recedere dalla continuazione. Per chi non lo è, continuo in questo modo. Vi siete mai chiesti perché lo sputo in faccia, o lo sputo in sé, è così spregevole, offensivo e mortificante? Io provo a darvi una risposta. La riprovazione che provoca questo gesto non è data dalla saliva, che può far schifo come può lasciare indifferenti. La riprovazione è dovuta al fatto che siamo di fronte ad una metafora sessuale innanzi alla quale la saliva rappresenta il seme maschile, lo sputo rappresenta la spinta tipica della sua fuoriuscita ed il luogo di destinazione dello sputo rappresenta un punto che rassicuri sull’impossibilità di fecondare il destinatario dell’offesa, cioè di non compromettersi con esso. Come si noterà, qui la negazione della vita presenta i caratteri della certezza e delle evidenza, confermandosi prepotentemente come essenza delle parolacce.

Altri tipi di parolacce riguardano il mondo sessuale solo indirettamente. Cionondimeno, debbono considerarsi tali perché ne contengono l’essenza, cioè la negazione della vita. “Zoccola” proviene da una caratteristica delle prostitute. Le prostitute, in questo contesto, rappresentano le donne che consentono di trarre dal sesso solo il piacere che esso è in grado d’offrire senza la creazione di una nuova vita, quindi senza compromissioni. Dal momento che camminano sul marciapiede costeggiandolo allo stesso modo dei topi, che usano trascinarsi da un tombino all’altro in questo modo, vengono appellate come si chiamano le femmine dei topi, cioè zoccole. Zoccola è quindi il modo dispregiativo con cui si qualifica una ragazza dalla quale è bene ricavare soltanto piacere fisico momentaneo, piuttosto che affari duraturi come la prole imporrebbe.

Cornuto, invece, è chi porta le corna in testa, cioè in un punto in cui i propri occhi non possono arrivare. Cioè, è cornuto chi porta qualcosa che chiunque, tranne chi porta le corna, è in grado di vedere con facilità. Questa definizione è fondamentale, perché stando ad essa non è da considerarsi tale chi è al corrente delle scappatelle del proprio partner purché, si badi bene, ne sappia prima del completamento anche solo del primo approccio (un bacio, per esempio). Nella definizione di cornuto, l’elemento ignoranza è determinante, altrimenti ne verrebbe meno il significato e si dovrebbe degradare il tradito in un girone di persone affette o dall’eccessiva comprensione, o dall’eccessiva generosità, o, per i più intransigenti, dalla mancanza di dignità personale. In ogni caso, la negazione della vita c’è anche in questa parolaccia. Cornuto è chi non s’accorge che la vita che il proprio partner dovrebbe creare insieme con lui, garantendogli il mantenimento di sé dopo la morte, è una vita che in realtà è creata da altri.

Procedendo nella rassegna, vien da dire che parente del cornuto è il fesso, letteralmente chi è aperto, chi è penetrabile facilmente. In questo caso la facilità della penetrazione ha a che fare con l’accordo che sta alla base della coppia. La coppia è nata dallo scambio del cibo con il sesso, cioè dallo scambio dei baci sulla bocca che una donna riceve col corrispettivo del mantenimento della vita post mortem da parte dell’uomo. Quando nella coppia, e per traslato in ogni altro tipo di relazione, l’accordo è palesemente sfavorevole ad una parte che ciò nondimeno liberamente lo ha accettato, allora vuol dire che questa parte si è rivelata penetrabile con particolare facilità, ossia senza gli annosi sforzi che il procacciamento del cibo richiede. S’è rivelata aperta, cioè, appunto, fessa.

 

Quando la parolaccia non proviene dal mondo sessuale, ma da quello dell’esecrabile, il distacco dalla vita si riscontra comunque.

E’ il caso di “stronzo”. Lo stronzo è un cilindro di feci che il nostro corpo espelle perché, se fosse parcheggiato nell’organismo sine die, gli farebbe male. Quindi, se fa male all’organismo, fa male alla vita negandola, con l’inevitabile conseguenza di repellerci. “Stronzo”, infatti, lo diciamo a una persona che ci repelle. Ricorrendo ad un esempio esaustivo, questa parolaccia viene spesso adottata dalla ragazza tradita nei confronti del fidanzato. Dal momento che il tradimento, nonostante i salotti televisivi lo vogliano riabilitare, resta un gesto che repelle come ogni cosa che viene fatta alle spalle, la tradita chiama “stronzo” il traditore perché il traditore s’è comportato in maniera tale da destarle le stesse ributtanti sensazioni che le dà la visione o l’avvicinamento alle feci. Una piccola aggiunta solo per completare il ragionamento sulle feci. Se “stronzo” è un pezzo delle feci, va da sé che lo stesso discorso valga anche per improperi come “merda!”, “uomo di merda”, oppure per quelle parole che, se contestualizzate, assumono anche le vesti delle parolacce in quanto luoghi deputati a contenere le deiezioni. Mi riferisco a “cesso”, “cantero”, “latrina” ed altre nobili consorelle.

Con la bestemmia si acutizza l’equazione parolaccia uguale negazione della vita. Anche la bestemmia è una negazione della vita, ma essa ne rappresenta l’espressione massima, dal momento che bestemmiando si impreca direttamente contro l’inventore del mondo, cioè contro il creatore delle regole di quel gioco così difficile chiamato, appunto, vita. Non a caso le bestemmie non sono gratuite, salvo non scadere nel patologico. Per lo più le si pronuncia quando si incontrano ostacoli che non vorremmo incontrare o perché non vorremmo adoperarci per superarli o perché non ci riteniamo all’altezza.

 

La mancanza di gratuità nella bestemmia dà l’occasione per la morale di questo articolo. Usare le parolacce per apparire brillanti, menefreghisti o per fare i fighi è biasimevole. Intendo dire che quando non si è mossi dagli ostacoli della vita, ma si utilizzano comunque queste espressioni, non c’è nessuna motivazione che tenga, dandosi necessariamente la peggiore idea di sé. Quando invece si è spinti ad imprecare contro la vita da ostacoli concreti, allora potremmo anche sfuggire alla condanna ad esser considerati dei maleducati se nel confronto tra l’ostacolo che ci ha spinto ad utilizzare la parolaccia ed il suo significato non c’è sproporzione. Se la parolaccia non è sproporzionata, non desteremo una cattiva impressione; se lo è, saremo allontanati o, al meglio che ci vada, non piaceremo. In ogni caso, resta un dato ineludibile: l’uomo più forte è chi non usa parolacce, perché agli ostacoli che la vita gli riserva reagisce sempre altrimenti. Non la maledice, non la nega: agisce. Peraltro, vista in questo modo, la parolaccia può essere anche un’unità di misura della tempra d’una persona. Insomma, una parola che scarichi la tensione come una parolaccia ha il valore d’una sigaretta, cioè scarica, fa prender tempo, alleggerisce, ma proprio come una sigaretta non potrà mai dirsi che faccia bene. La qual cosa è l’ulteriore conferma che la sua essenza è la negazione della vita.

Giuseppe Pastore

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