Estetica Noir: intervista esclusiva alla band di “Purity”

Una band che affonda le proprie radici all’interno dei pilastri del dark rock e della new wave più passionale aprendosi anche a sonorità più moderne ed elettroniche

Il genere proposto dalla band torinese è una New Wave moderna, dove il minimalismo del genere ha lasciato il posto a forti influenze elettroniche nella ritmica e un rock più duro dato dalle pungenti chitarre creando una miscela di sottogeneri non poco interessante..

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Benvenuti! Per cominciare ci presentate in due parole i singoli membri degli Estetica Noir? Chi sono Silvio, Rik, Luigi e Paolo? Da quanto tempo suonate e qual è stata la vostra formazione musicale?

Ciao! Un saluto a voi e a tutti i lettori di Ukizero. Io sono Silvio, fondatore della band (insieme a Rik), nonché cantante-chitarrista-tastierista e compositore della maggior parte del materiale degli Estetica Noir. Nella vita di tutti i giorni faccio l’educatore e, una cosa di cui vado molto orgoglioso, il musicoterapista. Se dovessi usare due aggettivi per quanto riguarda il mio lato musicale, mi definirei enigmatico e instancabile (per il fatto che mi occupo di molti aspetti riguardanti la band, il cosiddetto “lavoro sporco”…). Parlare degli altri mi viene difficile, ma posso dire con certezza che Rik (il bassista) si definisce tenace per il fatto di credere sempre e costantemente nel potenziale della band, ed è sostanzialmente colui che cerca maggiormente di valorizzare i pezzi a livello di arrangiamento in sala e in studio. Paolo (il batterista) si definisce visionario, nel senso che nel curare l’aspetto visivo e grafico della band, si ispira a mondi surreali e onirici. Luigi (il chitarrista) è subentrato da poco nella band e si definisce saggio e… solitario.

 

Il vostro disco d’esordio, “Purity”, è uscito più di un anno fa eppure fa ancora parlare di sé, anche grazie alla recente uscita del nuovo singolo, “In Heaven”. Come sono nate le composizioni del vostro disco d’esordio e con quali criteri avete stabilito l’uscita dei due singoli, “Hallow’s Trick” e appunto “In Heaven”, a quasi un anno di distanza l’uno dall’altro?

I brani sono nati quasi tutti in un periodo per me molto difficile, anche se alcune parti risalgono a molti anni prima. Ritengo personalmente che la musica è un’ottima autoterapia per risalire la china da un momento doloroso, e oltretutto la difficoltà rende più prolifici dal punto di vista artistico; da questo punto di vista, le parole di Luigi Tenco “scrivo canzoni quando sono triste, perché se sono allegro mi va di uscire e andarmi a divertire”, spiegano perfettamente il concetto: fare arte è un’esigenza interiore e quasi sempre la fonte maggiore d’ispirazione scaturisce dalla vita vissuta e in particolare dai momenti tristi e dolorosi. “Hallow’s Trick” è stato scelto come primo singolo in quanto rappresentava in pieno la direzione artistica che volevamo seguire in quel momento, ma allo stesso tempo fin dai primi demo, molti amici e conoscenti, ci hanno fatto notare come “In Heaven” avesse le potenzialità del singolo, in quanto musicalmente raffinata e orecchiabile.

 

Quindi parliamo di “In Heaven” che, come abbiamo detto, è il nuovo singolo, e parla di quanto le religioni (tutte quante) tendano a rendere ciechi di fronte alla realtà e soprattutto a manipolare e controllare la gente. Qual è il messaggio forte e chiaro che in breve vorreste che possa giungere agli ascoltatori e a chi ci sta leggendo?

Il significato del testo forse può risultare scomodo per qualcuno, ma a tal proposito penso sia necessario non porre dei limiti alle proprie idee e alla propria spontaneità. Il testo l’ho scritto di getto dopo aver visto “Religiolus” e sostanzialmente spiega come molta gente creda ciecamente in una cosa di cui non si hanno certezze, ma chiude poi un occhio quando i loro “messaggeri sulla terra” non si comportano in modo propriamente etico e la religione viene usata in modo scaltro dai poteri forti per giustificare atrocità e soprusi; in fin dei conti l’unica cosa che tiene in piedi il loro credo sono la paura e la superstizione.

 

Se poteste trovarvi ad una tavola rotonda insieme al Papa, all’Imam, al Dalai Lama e a tutti i vari vertici religiosi mondiali, cosa fareste e cosa eventualmente gli chiedereste?

Chiederei cortesemente di limitarsi a dare la loro versione di un libro piuttosto che di un altro, non di soggiogare intere nazioni e culture nel nome di leggende che fanno leva sull’ignoranza e sulla manipolazione di massa.

 

“In Heaven” è accompagnato anche da un videoclip oscuro, inquietante e di forte impatto. Com’è nata l’idea della sceneggiatura e chi è esattamente il protagonista mascherato che gira per le stanze?

Il personaggio mascherato presente nel video è “ognuno di noi”, chiunque abbia o ha avuto un conflitto interiore riguardo il proprio credo. L’idea che sta alla base della stesura del video (che non corrisponde essenzialmente a quella del significato del testo) è quella del dubbio. Ci sono elementi che fanno supporre di un qualcuno o un qualcosa che ci guarda e forse ci giudica durante il “gioco” della vita. C’è la ricerca spasmodica della fuga da questa situazione, la speranza di una soluzione prima della propria morte. Un aiuto ci indica la direzione da prendere, ma è quella giusta? Il protagonista muore ed esce dal gioco, esce dalla situazione di dubbio lasciando che la verità lo pervada. L’idea è quella di una visione duale; il protagonista non necessariamente muore nella vita reale, muore nel mondo che ha creato lui stesso con i suoi dubbi, lasciando che la sua verità lo accompagni.

 

Abbiamo notato che il vostro materiale fotografico ufficiale è praticamente in bianco e nero e con la maggior parte delle fotografie sfumatissime, nebbiose o comunque volutamente poco dettagliate. Dal momento che viviamo in una società in cui, qualunque sia l’arte e il genere di riferimento, alla gente arriva più facilmente un messaggio ben veicolato dalle immagini e con un chiaro impatto visivo, immagino che questa selezione fotografica poco dettagliata sia stata dettata da una scelta ben precisa: non vi piace mostrarvi oppure volete che anche le immagini diano l’impressione di esser state scattate negli anni ‘80/’90, epoca di riferimento della vostra musica?

Personalmente apprezzo molto il principio del “Bagism” di John Lennon, secondo il quale un artista dovrebbe essere giudicato per quello che fa e non per la sua confezione esteriore. A questo va aggiunto che il genere musicale che proponiamo e il nome che portiamo è sostanzialmente “Noir”. Infine va anche detto che non siamo più ventenni e di conseguenza penso non sia adatto puntare tutto sull’immagine e il trucco, quanto sulla sostanza della musica.

 

– Vi sentite maggiormente a vostro agio quando siete in studio di registrazione o sul palco?

Penso che per la maggior parte di noi il concerto è il momento ideale; ti mette un po’ sotto pressione, ma anche molta adrenalina e fa arrivare al pubblico in modo diretto tutta la passione e l’amore che metti in quello che fai. L’esperienza in studio è comunque sempre molto affascinante, anche se lunga e faticosa. Il lato negativo è infatti il limitato tempo a disposizione e l’inevitabile scontro tra le nostre idee; quello positivo è che scopriamo nuove tecnologie e nuove possibilità di suoni e alle volte un brano viene totalmente ribaltato. Cito a tal proposito Axl Rose, che disse “registrare un disco è come dipingere un quadro: parti con un’ombra, o un’idea, ed esce una cosa che le somiglia vagamente, che magari non ti piace più o non è esattamente quello che avevi in mente, ma magari invece qualcuno aggiunge una parte che sembrava totalmente avulsa dal contesto che può invece donarle un’atmosfera interessante”.

 

Se poteste collaborare con un grande artista nazionale o internazionale qualunque, chi scegliereste di coinvolgere ad un vostro prossimo concerto o nel vostro prossimo disco?

Se uno potesse sognare senza alcun limite, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta… Sicuramente Trent Reznor è uno degli artisti che più apprezziamo (non solo in ambito industrial rock, ma a 360 gradi; non va dimenticato che ha infatti vinto un Oscar per la miglior colonna sonora con il film “The Social Network”), ma anche Jaz Coleman (che ha un titolo che pochi musicisti rock possono vantare, quello di direttore d’orchestra), Martin Gore o Robert Smith. Per restare in ambito nazionale, sarebbe bello poter collaborare con Casacci o Madaski (che ha prodotto una serie di gruppi molto interessanti negli anni ‘90), che hanno radici wave e dark.

 

– Concludiamo con una domanda riguardante i live: dov’è possibile aggiornarsi sul vostro calendario dei concerti e sulla vostra attività?

Innanzitutto salutiamo e ringraziamo tutti voi e i lettori di Ukizero. Vi invitiamo caldamente ad ascoltare il nostro album “Purity” e, per rispondere alla tua domanda, potete seguirci su Facebook e YouTube per ogni news.

 

Grazie per il tempo che ci avete dedicato e alla prossima!

 

Marco Fonsmorti

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