Di polvere, terra battuta e fantasmi nelle rocce: “Higher Self Blues”

Songsterr e Delta blues sono la polverosa colonna sonora di un legame atavico con la vita e la terra

«[…] Il vento si fece impetuoso, s’infilava sotto le pietre, scalzava paglia e foglie morte, perfino piccole zolle, creando dietro di sé una scia man mano che solcava i campi. L’aria e il cielo si incupirono, e in mezzo a loro il sole fiammeggiava rosso, e c’era nell’aria una morsa umida. Una notte il vento spazzò con più forza ancora la terra, scansando subdolamente le radici dei mais, e il mais reagì combattendo il vento con le foglie infiacchite, finché le radici non furono divelte dall’accanirsi del vento, e ogni pianta si piegò sfinita verso il suolo, indicando così la direzione del vento […]»
“Furore”, John Steinbeck

Passo le dita lungo il dorso di “Furore” di Steinbeck, il bianco e il marrone della costina mi rimandano ad un odore di terra battuta, ai paesaggi polverosi. E proprio alla polvere vorrei chiedere, alla copertina bianca, se Fante me lo permette, questi due John a confronto. Scendo giù all’ultimo ripiano dove ci sono i libri che hanno a che fare col cuore, con la terra, appunto. Penso ad Holt, ai paesaggi immaginari di Kent Haruf, alle sue notti e alle nostre anime. A quei paesaggi che sono simili alle colline del mio paese al cambiar delle stagioni, ai rami che tendono, agli acquitrini improvvisi, ai laghi che si allargano. Ai fantasmi dei paesi scavati nella roccia.
Scorro gli scaffali mentre mi riecheggia nelle cuffie il brano che ho scelto “Higher Self Blues“. C’è bisogno sempre di una colonna sonora per i propri viaggi e in questi tempi di distanziamento, l’evasione è nella carta e nelle corde.
Le corde, sei, come quelle che in questo blues che sa risalire dal suo Delta e trascinarci in un futuro di terre esplose, di fantasmi che vengono a bussarti alla schiena e sanno seguirti nel ritmo dei passi. Un blues che riecheggia in un silenzio assordante di queste strade deserte al calar del sole, nel suo ripetersi continuo come una preghiera, uno sgranare di rosari, un’invocazione e un richiamo al passato, strizzando l’occhio al futuro. Uno strumentale che mi accompagna coraggiosamente senza dire alcuna parola, tra la polvere da rimuovere e il sole rosso sul filo dell’orizzonte.
Un brano che ci assicura un grado intenso dell’essere vivi, ci distrae dalla vita, nell’attimo del nostro cadere più vero nel mondo: luccicare prima di spegnersi.
Chiudo gli occhi e il sole ha scavalcato il confine, lasciando lo spazio al buio che avanza e alla falce bianca a disegnarne i contorni.

Higher Self Blues” è il brano d’esordio di “Blasted Lands & Ghosts“, EP interamente composto e autoprodotto da Micky Guns, che vedrà la luce nei prossimi mesi. Un primo lavoro solista del chitarrista, dopo anni di palchi e dischi in band. Un viaggio intimo, evocativo, ad alto contenuto emozionale, in cui Micky ci racconta il suo grande amore per il blues minimale con chitarre Dobro e Parlor. Un ritorno nelle cosiddette “terre esplose”, traducendo letteralmente il titolo dell’EP con suoni imbevuti di blues del delta, passaggi di slide e percussioni minimali, tra cui fusti di metallo a richiamare i propri “fantasmi”.
Il trionfo del silenzio in un futuro post atomico, di completa distruzione è qui attraversato e infranto da suoni rudimentali, essenziali. Come il primo uomo sulla terra ad accendere il fuoco con due pietre, qui è la creazione del suono, della musica e al tempo stesso della necessità di comunicare attraverso questo linguaggio con ciò che ne rimane e ne è a disposizione.

L’Ep è composto da quattro brani, tre strumentali e due cantati, tra cui una cover di “Baby please don’t go” che vede un’unica formazione in trio, alla batteria Dario Talone e alla voce Jacopo Proietti.

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