“Cross the multiverse”: gli esperimenti sul formato canzone di Matteo Madafferi

Un "disco di quarantena" che abbraccia vari generi: sfrutta numerosi Loop, si fa prestare voci non puntando sempre sui testi ma al coinvolgimento dell'ascoltatore

Un giorno, il mondo si è risvegliato tutto ribaltato. Niente più teatro, niente più concerti, e con la necessità di costruirsi una nuova normalità. Ad uno shock di questo tipo, un artista può reagire in molti modi, più o meno prevedibili, a seconda di quanto la propria reattività sia in grado di ispirarlo. Ed è qui che nasce “Cross the multiverse” di Matteo Madafferi, raccolta di brani composti nel corso degli anni e ripresi in un impeto istintivo, sfruttando l’abilità con i loop, e concentrandosi più sul coinvolgimento di chi ascolta, o meglio, di chi sa ascoltare; da questo punto di vista, il classico “disco di quarantena“, insomma.

Ecco, appunto: quanto classico? Matteo non è nuovo né a chi scrive, né a chi legge; lo avevamo conosciuto tra queste righe con i The Ties ed i validissimi Madicine Screwdriver Cub, di evidente ispirazione mancuniana, ma qui non c’è bisogno di evidenziare paragoni di sorta con il mondo britannico.
A spiccare naturalmente, come testimonianza di questa nuova fase artistica “forzata”, è il brano proposto in anteprima, “Soulized“. Energico ed efficace, basato su un loop ossessivo, riassume di fatto tutto il percorso artistico di Matteo e, di riflesso, l’umore stesso del lavoromixando in modo valido atmosfere soul, rock, ed elettronica. Un brano di azione e reazione, generato di spirito e che colpisce in modo diretto e preciso.
Per quanto riguarda invece il resto del lavoro, alcuni brani già erano conosciuti, ma in questa nuova (multi)dimensione trovano un posto ed una coerenza differente, evidenziando un aspetto che troppo spesso viene trascurato: le canzoni, e l’arte in generale (e qui scomodiamo Pirandello, sperando non se ne abbia troppo a male), vivono di vita propria, una volta create.

Ne consegue che alle volte, l’ambiente in cui le canzoni sono costrette a stare (perché in questo caso di costrizione inevitabile si tratta, non potendo essere scatenate sul palco in tutta la loro forza) influenza la loro stessa natura, permettendo all’ascoltatore di assaporarne nuovi umori e nuove prospettive.

Che Madafferi ci sappia fare già lo sapevamo, quindi che meriti di essere ascoltato risulta quasi lapalissiano. Ma l’augurio – questo sì, personale – è di poter tornare su un palcoscenico quanto prima, perché solo lì l’arte di un musicista può avere la sua massima espressività.

Federico Ciampi

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