“Il Capitale Umano – La fascinazione e il veleno del potere” [Recensione]

Tra finanza tossica e risvolti noir, il film rappresenta tutte le sfumature di nero della ricchissima borghesia italiana

L’azione è spostata dal Connecticut alla Brianza, ma il senso è esattamente inquadrato. Tratto dal romanzo omonimo di Stephen Amidon, “Il Capitale Umano“, di Paolo Virzì, ci avvolge in un umorismo cupo, dove il sorriso è a denti stretti e ci coinvolge nell’involuzione civile e culturale che il nostro Paese ormai respira da tempo. L’italiano medio entusiasticamente entra nella squadra dei cannibali che spolpano ogni giorno il nostro presente. Mentre si assiste alla proiezione, quasi ci si guarda intorno perché si comprende che, in qualche maniera, anche noi siamo responsabili di tale disastro.
Come diceva il poeta De André: «Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti».
Il film, scritto da Francesco Bruni, Francesco Piccolo e Virzì, è diviso in capitoli in un mix perfetto tra angoscia, splendori, miserabili azioni di arrampicamento sociale e ricerca di una speranza di espiazione.
Paolo Virzì ha catturato in maniera superba e impietosa il qualunquismo e l’ossessione compulsiva di una società maleodorante ed egoista. L’essere umano che ha dimenticato il significato di umanità e come un vampiro, avido di sangue, distrugge e contagia consapevolmente ogni elemento con cui viene in contatto.
Una frase, pronunciata dal personaggio, di una strepitosa Valeria Bruni Tedeschi, racchiude il senso terrificante di una società impietosa: «Avete scommesso sulla rovina di questo Paese, e avete vinto».
Parole disarmanti e veritiere quanto la nostra decadente attualità.
Non esiste una via di mezzo per entrare emotivamente nel film perché, dal primo fotogramma, si viene catapultati e coinvolti in un lato oscuro. Un versante concreto del pensiero e dei modi in cui si sottomette l’uomo all’uomo in una storia emotiva che ci riguarda quotidianamente.
Una storia nelle storie, un film potente dove la salvezza non esiste se non negli sguardi dei due giovani, Serena (Matilde Gioli) e Luca (Giovanni Anzaldo) che a fatica soffrono e rinascono.
Una lezione per tutti coloro che fingono, voltandosi dall’altra parte, pur di non assistere al degrado e alla corruzione.
Nel film tutto si adegua al potere, al denaro, anche l’intellettuale critico, attento e velleitario diventa ossequioso e complice pur di trovare il suo spazio o la sua ultima possibilità di vivere un amore.
Il dolore non risparmia nessuno e nessuno e immune dal contagio.
E il regista è riuscito ad esplorare quel buio rivoltante malgrado le false luci di una ribalta ben plastificata ed ha messo in luce la spaventosa realtà di un individualismo avido che corrompe ovunque una società ormai in scadenza.

Un cast di primordine, un realismo dominante, con una luminosa Matilde Gioli ed un credibile e bravo Giovanni Anzaldo nel ruolo di Luca Ambrosini.
Bentivoglio, Golino, Lo Cascio, Gifuni, Alberti e Storti, per citarne alcuni, sono da standing ovation, memorabili e in perfetta sincronia con il “Tutto” del maestro Virzì.
Perfetto il personaggio di Valeria Bruni-Tedeschi che manifesta il suo continuo disgusto, ma non riesce ad affrancarsi dal suo ambiente tossico.
Il Capitale umano“, credo, sia la migliore pellicola di Paolo Virzì, un film, dai tratti noir, internazionale, drammaticamente reale e capace di raccontare il nostro tempo malato partendo da una morte accidentale.
Una produzione italofrancese del 2013 con una eccellente fotografia di Jérôme Alméras e Simon Beaufils, un montaggio di Cecilia Zanuso ed un’ottima ricerca musicale di Carlo Virzì.
Il film ha raccolto una lunga e prestigiosa serie di premi meritati per un lavoro dove Paolo Virzì e tutta la sua equipe hanno dimostrato il valore di una grande opera d’arte sociale.
Da vedere almeno due volte.

Stefano Pavan

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