Artù @MonkClub Roma – 03/2022

Un'emozionante concerto in full band quello di Artù, che oltre ai nuovi Singoli ha portato sul palco dell’amata venue romana anche le canzoni più significative della sua carriera

Il cantautore romano, attivo dal 2013 nella scena indie pop italiana, torna dal vivo urlando con velata dolcezza la sua rabbia, traducendo in suoni e versi una poetica schietta e mai banale

Venerdì 11 marzo siamo andati a sentire ed intervistare Artù al Monk Club di Roma, primo concerto di questo nuovo Tour accompagnato da due Singoli: “Astronave” e “Mezzanotte meno un quarto“, uscito il giorno stesso.
Parliamo con lui prima del concerto, nel suo camerino, dove ci offre una Peroni.

  • Ciao Artù, com’è stato tornare a suonare dopo la pausa piuttosto lunga che è stata imposta al settore musicale ed, in particolare, com’è farlo con due singoli che parlano di cambiamento, di libertà, ma anche un po’ di rivalsa?

«È molto emozionante risalire su un palco dopo due anni, siamo carichissimi, anche se poi quando monti là sopra è un po’ come se non fossi mai sceso. Questi due singoli poi li ho scritti proprio sotto lockdown, cercando un po’ di evadere. Il primo pezzo, “Astronave”, è molto intimo, proprio perché ero a casa da solo, in balcone con la chitarra, ad immaginare un’astronave a portarmi via. Il secondo l’ho scritto mentre uscivamo dal lockdown, infatti è un po’ più rock’n’roll, più allegro, ma anche più aggressivo. Dopo tutto quello che era successo ero un po’ incazzato col mondo, invece poi scrivendo mi son reso conto che quella rabbia lì, come spesso accade, era verso me stesso. Secondo me il conflitto, la guerra, stanno nell’essere umano, vengono dall’interno, non dall’esterno, e la pace con gli altri la trovi solo se prima fai pace con te».

  • Quindi per te la musica è stata un’astronave?

«L’astronave è un simbolo di tutte quelle cose che ti cambiano la vita, come potrebbe essere un figlio, un’amore, un po’ tutto, e devo dire che la musica quando entra nella tua vita, la cambia. Come vedere un’astronave ti stravolge l’esistenza, chi sei, da dove vieni, ti ridimensiona, anche rispetto alla sensazione di essere un po’ al centro del mondo, che l’uomo spesso ha…».

  • Tra i tuoi progetti precedenti ci sono più rimandi ad alcuni grandi artisti del passato, come “Ti voglio” con Rino Gaetano e la partecipazione all’album “Faber Nostrum” con la tua versione de “Il Cantico dei drogati” di Fabrizio De Andrè. È solo celebrazione di artisti che ami e stimi o c’è anche qualcosa che ti manca di quel mondo musicale?

«Un po’ entrambe le cose. Come ascolti vengo da quel mondo lì, quindi Gateano, De Andrè, Lucio Dalla, il primo Vasco. Credo che sia un po’ un caso che mi abbia portato a questi progetti, per “Faber Nostrum” mi hanno chiamato, ho solo detto sì. Rimango tutt’ora legato a quella musica, ma non perché manchi la musica interessante adesso. C’è bella musica e ci sono bei testi, è una questione di gusto».

  • Questi due singoli anticipano un’album? Quale sarà il mood complessivo?

«Sì, ma non so quando uscirà, vorrei prima far uscire un po’ di singoli, perché credo che l’album ora sia un po’ una compilation di singoli, ma dura molto poco. In generale ci saranno pochi strumenti, ma veri, essenziali, che si sentano bene. L’arrangiamento non è come negli album precedenti, senza effetti, più alle origini. Questa scelta viene anche dal lockdown, perché una sorta di preproduzione l’ho fatta io da solo a casa, con i mezzi che avevo. Li abbiamo poi rilavorati, ma mi piace che siano così essenziali, scarni, mi piace questa semplicità, questa sintesi».

“La musica vera, pochi strumenti ma che si sentono bene” li ritroviamo sul palco del Monk, dove Artù canta – o grida, talvolta – circondato da un sassofonista e da tutto il resto della band…
Sul palco si fa rock e c’è la complicità di un pubblico che canta ogni canzone parola per parola, balla, fa partire trenini sotto il palco con i due nuovi Singoli e con le canzoni dagli album precedenti, come “Ma lo sai cosa c’è”, “Mimì sciacqua i denti col Gin”, “La vecchia ha un dente di bronzo che a me sembra bianco perché sono sbronzo” o “Il gallo si fa la gallina”, presentata a suon di «..noi non la volevamo cantare, ma ce la chiedono tutti».
Insomma
 si respira energia vera, anche quando il palco viene lasciato ad Andrea Rivera, che canta e suona due pezzi, di cui il primo, comico, inneggia alla solidarietà tra popoli.
Tanta musica vera è anche tanta emozione, condivisione, che in momenti incerti come questi ti fanno tornare a respirare a polmoni aperti: la musica vera di cui abbiamo bisogno.

Irene Margiotti
Foto: Alessandra Mammucari

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5 Comments

  • bello ricominciare a parlare di musica dal vivo . mi ero perso questo serata del monk … grazie Irene M.

  • Ale è un cantautore con un anima rock ..sempre in evoluzione..nei suoi testi mai banali c’è tutto..la periferia, Roma.. l’inquietudine dei nostri tempi..da subito siamo diventati Arturiani..

    • Ale è un cantautore con un anima rock ..sempre in evoluzione..nei suoi testi mai banali c’è tutto..la periferia, Roma.. l’inquietudine dei nostri tempi..da subito siamo diventati Arturiani..

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