Alessandro Tarallo: la terza via di “Noi collegati”

Recensione del primo progetto discografico dell'artista visivo e accattivante cantautore... in nome dell'amore e delle sue trasformazioni esistenziali

In un momento dove chi sceglie di inserirsi nel panorama musicale italiano è costretto a fare i conti con l’egemonia dell’It-pop o della Trap, Alessandro Tarallo sembra dare una risposta alternativa, una sorta di terza via che salta a piè pari questi due fenomeni che, per quanto incidenti, stanno iniziando a dare dei cenni di fisiologica ripetitività.
Il bacino dove Alessandro Tarallo pesca le diverse suggestioni ha delle increspature che alle orecchie di molti possono apparire démodé o che comunque, se paragonate a contesti più in voga, sulla carta sembrerebbero rappresentare una scelta che faticherebbe ad imporsi come vincente. Tuttavia è notevole la volontà di recuperare alcuni elementi (da intendersi qui nel senso etimologico, cioè come aspetto di primaria costituzione) che fanno parte del DNA della musica pop italiana, soprattutto per quel che riguarda alcune scelte nel cantato: l’uso calibrato dei falsetti fa pensare a Battisti (con il brano “Collegati“) e Graziani, mentre la scelta di mescolare influenze pop ad una matrice schiettamente rock rimanda ad alcuni lavori del primo Max Gazzé (come mostra il brano “Mi sono innamorato di sua figlia“).

Al di là di questo sono ben presenti negli orizzonti di Alessandro Tarallo anche diverse suggestioni mutuate dalla musica d’autore, come dimostrano i pezzi più meditati che trovano la loro forza in arrangiamenti soffusi e sognanti (“Fuoriuscita” e la più misticheggiante – anche per i riferimenti testuali – “Nel fiume dell’Om“). Una scelta, questa, che sembra ricollegare il lavoro di Tarallo anche ad una parte del contesto musicale italiano contemporaneo: ascoltando brani di questo tipo, vengono in mente due degli artisti che in questo momento sono dei punti di riferimento per un certo tipo di cantautorato ibrido: Motta e Colapesce.

Un’attenzione notevole è da prestarsi anche alle scelte testuali: la costante relazionalità tra il soggetto che vive le proprie esperienze ed il rapporto che instaura con il mondo circostante e con tentativi di relazione che nella loro essenza rivelano un vuoto fatto di pregiudizi e luoghi comuni. L’antidoto più intelligente, allora, è la scelta di una discreta autoironia che nella sua matrice risulta essere abbastanza caustica: “Basso nella manica“, il brano dalle sfumature più rock del disco, riesce a sottolineare in maniera convincente questo stato di cose.

Noi connessi“, dunque, appare come un disco calibrato e coerente, un lavoro che ha il merito di far entrare in dialogo dei discorsi musicali anche lontani (almeno nel tempo) tra di loro, dando vita ad un risultato originale che molto probabilmente avrà abbastanza da dire.

Mario Cianfoni

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