“Agosto è il mese più freddo dell’anno” – 1

MonteSacro in questo racconto è un luogo dove si dorme, si vive, si muore, soli.
Montesacro è una somma di quartieri di Roma, abitato da più di mezzo milione di abitanti, delimitato da via Salaria e la diga del Tevere verso Nord, via Tiburtina verso est, dal raccordo ferroviario FM3 e dal fiume Aniene per il perimetro ovest e sud.
Qui si è svolto il primo sciopero della Storia della Repubblica; nel 494 A.C. i plebei stufi di essere clientes senza diritti, schiavi soggiogati ai patrizi, si ritirarono sul Monte Sacro tra le vigne del Nomentum. Secondo lo storico romano Tito Livio (“At Urbe Condita”) il console Agrippa Amenenio Lanato, tenne qua il suo discorso noto come “L’Apologia dello Stomaco”: «Olim humani artus, cum ventrem otiosum cernerent, ab eo discordarunt, conspiraruntque ne manus ad os cibum ferrent»… traduco il tutto alla buona: “le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne sta ozioso, ruppero con lui gli accordi e cospirarono, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca. Intendevano domare lo stomaco, ma indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento. Fu chiaro che l’ufficio dello stomaco non è pigro, ma che distribuisce i cibi per tutte le membra. Cosi tornarono in armonia. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute”. Questo convinse i plebei, che in cambio del voto nei referendum e l’elezione del tribuno rappresentativo tornarono a lavorare per i signori.
Oggi, c’è ancora il ponte sull’Aniene e la Via Nomentana (vetusta), un mausoleo, che leggenda vuole sia la tomba di Amenenio. Le vigne, i ponti, le ville sono una lontana memoria, i moderni capite-censi abitano delle nuove Suburre: tra la borgate di San Basilio e il Tufello volute dal Duce, i nuovi palazzoni anni 70, le case Ater, l’ex GIL (gioventù littoria). Oggi i nuovi plebei percorrono stradoni e passano il tempo nel foro moderno: il centro commerciale.
Montesacro oggi, in questo racconto, è un luogo dove i personaggi affrontano le vite come se fossero in uno sceneggiato televisivo, perché qui sono i Media, con la Tv, ad essere l’Ara della cultura, e la legalità un mero punto di vista.
In ogni parte del racconto troverete un link di un brano idoneo a fare da sottofondo alla lettura.

La notte di San Lorenzo

A Roma non si possono avverare i desideri, non si vedono le stelle cadenti. Ve ne potete accorgere facilmente arrivando di sera dal casello di Fiano, dall’Autostrada del Sole. Superata la pompa di benzina, ultimo baluardo della tecnica e del consumismo vacanziero, confine antico con gli Etruschi, e i Sabini. Appena oltre la salita di Sette Bagni, vi compare il bivio del Raccordo Autostrade o Aereoporto, e il cartello Auditorium. Qui svetta in controluce la Rocca di Fidene con i suoi torrioni alti 14 piani. Poco oltre si vedono le luci della città e del centro commerciale. Se fate attenzione, alzando lo sguardo, potreste osservare una specie di aurora boreale con lame di luci: gialle, viola, rosso, blu… che si muovono dentro una nube di smog. Salendo, cambiano colore: passando dal rosso carminio al nero cupo. Anche l’odore, la densità dell’aria cambia, e tutto diventa rapidamente caldo e statico. Roma vista venendo dalla campagna, “con quella faccia un po’ così”, ti avvolge in un abbraccio appiccicaticcio e dolce.
Nel 2012 abitavo in via delle Vigne Nuove, in quella che all’epoca era la Quarta Circoscrizione: in un palazzo di sei piani, l’appartamento lasciatomi da un amico. È a meno di due chilometri dal GRA. Solo, temporaneo, e perennemente sudato in quell’Agosto torrido. Poca la compagnia in genere, conoscevo solo una vicina di casa, cinquantina, abitava nel medesimo pianerottolo. La sera mi invitava a ballare il tango. Andammo al cinema un paio di volte, vestiva sempre di nero. Lei lo trovata elegante.
La Notte di San Lorenzo, saranno state le due, mentre stavo affacciato al balcone, fumando l’ennesima sigaretta. Cercavo inutilmente di vedere, tra i lampioni, le stelle cadenti sopra il pratone della Bufalotta.
Sono anni che cerco di esprimere un desiderio. Almeno uno, ma i desideri non si possono esprimere, ne avverare, se non si vedono le stelle, figurarsi quelle cadenti.
Improvvisamente un bagliore rischiara la notte. Un boato sordo, un urlo agghiacciante. Per un attimo trema tutto. Di nuovo, rapido, il silenzio. Rumori di passi. Il condominio si scuote dal torpore, qualcuno grida, altri aprono porte. Squillano telefoni, un bambino piange per lo spavento. Qualcuno scende in strada. Luci accese ovunque. Nell’androne fatto a ponte, proprio sotto la mia scala arrivano le volanti, entrano i poliziotti di corsa, “inseguono qualcuno?!!”. Con i fari illuminano a giorno il prato. “Si, cercano qualcuno”. Scoprirò poi che dei ragazzini avevano tentato di forzare un bancomat con la fiammella, ma per cause sconosciute la bombola è scoppiata, ferendone uno.

Una volpe, una femmina con la coda macchiata dal grasso delle auto ha fatto la tana proprio tra i palazzoni e i centri commerciali in costruzione, nel pratone che porta alla Bufalotta, spaventata da tanto rumore, gira in tondo impazzita. Forse vorrà distrarre l’uomo dai suoi cuccioli? Io, non lo so. Ci penserò domani. “Buonanotte. Notte a te, mia piccola spaventata volpe che mi fai compagnia”. Anche tu, sembri fuori posto.

La discoteca

Nella notte le luci di un faro svelano che al di là dei cipressi di un giardino vicino alla “Via Sacra” nei pressi di Porta Latina, stanno facendo una festa. La musica pompa ad alto volume, facendo scuotere le teste dei ballerini al ritmo di una pressa stridente. Corpi sudati che saltano, che ballano. Una miriade di camicie bianche di lino e sintetiche. Potresti riconoscere il quartiere di provenienza guardando il taglio e il colore dei capelli. Ci sono veramente tante ragazze con le schiene nude, i seni in trasparenza e i glitters. Le luci colorate tagliano l’aria, fanno sì che solo per brevi momenti si intravedono i corpi che danzano al rumore della musica elettronica. Il volume è talmente alto che qualsiasi cosa tu chieda al barman ti danno solo due cose: un Mojito allungato o una birra, annacquata e tiepida, tanto costano uguale. Ritta alla console, una ragazza, agita il braccio destro facendo schioccare le dita, alle sue spalle video montati in velocità passano di tutto: bombe in Iraq, donne che copulano, sport estremi, mostri horror, animali che giocano con gomitoli di lana. Lei fiera, la Dj Flavia con le cuffie, ritta in consolle, riempie le feste più fighe di Roma. Nei pressi sul palco, le saltella attorno Riccardo: trent’anni o poco più, moro dal capello corto quasi militare e tanta, troppa, gelatina. Muscoloso col tatuaggio di ordinanza, occhi chiari quasi blu, un accenno di barba disegnata. È magro e ha un bel sorriso, lo sguardo sfacciato, tutto sommato un bel tipo. In jeans e maglietta ha inforcati gli occhiali da sole. Non sono dei falsi, per carità, sono veri, anche se li ha comprati a Porta Portese, come si dice oggi “sono Vintage”, vecchi… Riccardo salta, beve, muove il braccio a tempo, tutt’assieme. Sta facendo le pose per un ideale fotografo? Sale sul palco, e si nota bene, una ragazza mora, Marta: alta, sui trent’anni, schiena nuda e tatuata. Indossa un vestito trasparente molto, molto, corto, più che da sera, al limite direi, quasi da locale di scambisti. È bella, sanguigna, prosperosa e coatta, eccessiva quanto basta, ha il trucco pesante con colori sgargianti, è nel complesso appetitosa. Marta (urla): «A Ricca, daje ‘namo». Lui la bacia e fa un autoscatto col cellulare. Dicendole: «N’attimo Amo’» (lo dice urlando e con le cinque dita aperte a “cinquina”). Si gira, va a salutare la Dj, poi come fosse un divo saluta anche la gente che balla – che nel mentre si fa gli affari propri. La Dj si toglie le cuffie, lo bacia cordialmente, senza enfasi, sulla guancia, poi con maggiore enfasi bacia in bocca e saluta la ragazza. Calza le cuffie, cambia disco e alza il volume, battendo le mani a tempo. La festa impazza, la gente balla sudando ancora. Marta e Riccardo si avviano per l’uscita, passando per il parco. Qua bivaccano dei ragazzi. Alcuni stanno seduti su panche e sedie, altri sdraiati direttamente sull’erba, quando c’è. Le bottiglie di alcool e i bicchieri di plastica sono dovunque. Canne, sigarette spente, bottiglie vuote. Una coppia amoreggia, quasi svestita con molta enfasi nel prato davanti ai bagni. Una ragazza balla, si scopre il seno, mentre la tavolata batte il tempo. Ovunque telefonini squillano o fanno foto. Quasi tutti chattano altrove. Marta e Riccardo guadagnano l’uscita passando davanti ad un colosso vestito di nero. Il buttafuori saluta con un cenno del capo Marta: «Ciao Fa’», sorride a Fabione che richiama la sua attenzione : «Pensace, a sta cosa». Marta fa un cenno di si con la testa. Poi guarda Riccardo, come dire – e tu non saluti? Riccardo saluta con un cenno della mano “Urbi et orbi». Escono alla luce fioca dei lampioni.
Marta: «Con tutto quello che c’avemo da fa’, daje è tardi».
Riccardo: «Eh Scialla, è tutto sotto controllo» – pausa – «Ma che te voleva di’ Fabione?».
Marta: «Nulla d’importante ma chiesto de tornà’ co’loro pe cantà».
Riccardo alza il piglio: «E te che je hai detto?».
Marta: «Boh, cioè nun lò so».
Entrano in macchina, Riccardo accende il motore. Ingrana la retromarcia, accende lo stereo mette un pezzo di musica di un rapper italiano “unz’,unz”. Marta si toglie i tacchi, stende le gambe mettendo i piedi sul cruscotto e si accende la sigaretta.

..continua.

di Daniele De Sanctis

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