Agata di Capodanno

..di nuovi inizi che bruciano l'anima... [Racconto breve]

Fu nelle dinamiche di fine anno che conobbi Agata. Al party organizzato da Paolo non capivo cosa c’entrasse. Di solito, Paolo era circondato da vecchie conoscenze tribali, i ben ritrovati a Natale e Pasqua, l’amore che lo legava alle persone era secolare, quasi illegale non poter partecipare ai suoi eventi. Il 31 dicembre poi, ti ritrovavi lì a fare la festa, dirla bella nei giorni successivi, scordarla in fretta nelle settimane dopo, come mare sulla battigia che si ritira.
Appena mi vide, Agata mi venne vicino e mi disse: «Ciao tu sei Edoardo il cantante, vero?».
«Mi chiamano così perché da giovane volevo essere cantante, ma ora metto solo dischi ai party di Paolo».
«Ti va un gin tonic, Edo?».
«Certo».

Agata me la ricordo mentre versa quel gin e poi quella tonica, col fare dissoluto dei nostri anni, le mani strette intorno ai bicchieri; pensai che era bello essere una donna. È una caratteristica che non si addice all’uomo l’intraprendenza naturale; ci muoviamo in pose dismesse e sempre uguali che la donna riesce a evitare per una sua forma mutante e corretta.

Ricordo che mentre Paolo sparava i fumi per creare l’atmosfera dei dritti, Agata mi disse:
«Dai balliamo»..
..una formula come un’altra per smorzare quei tempi che ci percorrevano addosso dall’anno passato e dall’anno prima ancora.

«Dai balliamo».

Avevo lasciato passare un disco house e mi pareva già strano perdermi nei suoni miei. Al di fuori di noi, c’era poca gente a ballare quella roba house. Tutti sconosciuti. In totale dovevamo essere circa una trentina di cui 20 imbucati.
Giovanni stava seduto nella sua giacca nera, il bicchiere vuoto a mo’ di appoggio, e la bocca chiusa.
Elvira stava già ubriacandosi in giardino mentre Marco la osservava fumando la sua winston blu.
Alessio, invece, seguiva Maria per raccontarle del giorno prima, quando, finalmente, Francesca si era decisa a fare l’amore con lui.
Angelo stava vendendo erba a qualche sconosciuto lì fuori.
Paolo, invece, era nascosto dai suoi spessi occhialoni scuri che indossava ogni capodanno. Diceva tutti gli anni la stessa frase:
«Con questi occhiali vedo il paradiso».

Io ero di fronte ad Agata a ballare la musica house con forze da gigante a riprenderle le braccia. I vortici che facevamo sapevano di buono. Stavo a girare forte con lei, i suoi 173 cm per poco peso, le mutande rosse e il tacco nero sotto la gonna di pelle nera, un mantra di gioie e repulsioni da sballo. Mi persi nella sua umanità così profonda, nella sua bellezza da nuovo anno, nei corpi che non aspettano e vanno da soli.

– Ora usciamo fuori a fumare io e Agata e la bacio, sai che bello sarà d’inverno, amarsi come ricci in letargo, e poi d’estate chissà, magari faccio il libertino e poi lo so, che Agata nemmeno mi ama, con la gonna di pelle e il tacco nero e chissà che faccia avrà domani, soprattutto su Facebook non riesco nemmeno a trovarla, Giovanni mi ha detto che ha il profilo bloccato, pochi amici, solo quelli che conosce. Forse da ragazza è stata importunata sulla bacheca e io no, non voglio ripetermi, oddio, spero di non averla importunata ora… mentre la sto baciando e salive congiunte si intrecciano nelle lingue bresaola, il sapore denso del gin di Paolo mentre mordo le labbra di Agata, una vita così, a spendermi a capodanno, poi, chissà che musica danno dentro, un cane mi abbaia contro, forse ha visto un mostro nei nostri due corpi intrecciati lì fuori…
Amore dimmi che domani non sarà diverso… dimmi che mi ami… –

«Edo parlami di te»..
«Ho una vita in questo posto, da giovane volevo fare il cantante, poi son passato oltre. Ora faccio il supplente nella scuola media Madre Teresa di Calcutta sotto casa, vivo ancora coi miei e mi sta bene. Nel tempo libero scrivo di costume e società sul blog. Una volta mi hanno offerto un lavoro in polizia ma ho rifiutato. Vorrei lavorare per Dagospia».

«Dai balliamo».

Riprendemmo a ballare da soli.

Nell’aria c’era come l’alone di un tempo altro, ricordo di aver visto Paolo baciare una tizia di passaggio, Giovanni era ancora seduto in disparte e gli altri bo, devo averli proprio persi di vista.

«Vedi qui la strada è tutta dritta, non è poi così difficile. Devi solo lasciarti andare e cogliere l’occasione, la vita è così».

Agata aveva la prosa fertile dei luoghi comuni e non riuscivo a districarmi in quell’abisso che pareva tutto perfetto. A volte credevo di perdermi in un niente: un’alba, un arcobaleno, un quadro di Van Gogh. Tutte queste cose comuni ridevano delle malinconie di un tempo e mi sintonizzavano con Agata e la sua avvenenza da fine anno.
Io e lei ci baciammo di nuovo. Nella meccanica dei gesti pubblici, pensai che quello fosse, alla fine, un esito scontato per un festa come quella là. Ma Agata cominciò a parlarmi come una madre.

«Vedi Edoardo, è stato stupendo lasciarsi andare. Sei stato il mio ballo finale».

Quel passato prossimo usato in maniera così semplice e lasciva mi ricordava i capodanni scorsi, quando già ubriaco da un pezzo a casa di Paolo, pensavo alle ansie ancestrali del giorno dopo, al tempo fugace che va via troppo veloce, ai bei libri mai letti a casa di mia zia.

«Ora la vedi quella porta, è giunto il momento di uscire, dobbiamo andare via. Dai sveglia Edo sveglia… siamo noi… siamo noi…».

Mi rialzai fracassato con Paolo a fissarmi il volto dietro le sue spesse lenti scure. Paolo era ancora in giacca.

«Ehi bello, ieri sera hai esagerato come sempre eh?».
Mi disse con un sorriso sincero da nuovo anno.
«Paolo ma Agata che fine ha fatto?».
«Agata? Ieri sera hai esagerato con l’erbone zio, mettici il gin e sei collassato. Dai ora ti riaccompagno a casa che si è fatto tardi e ho il pranzo con i miei fra poco».
Tornai a casa ancora stonato. Non riuscivo a non pensare alle ore prima, alle parole suadenti di quella donna là, all’erbone che non ricordavo, agli occhiali e al paradiso di Paolo, ai corpi che pure finiscono quando non te ne accorgi. Forse Agata era solo un mio sogno di rivoluzione.
Frugando nella tasca destra del mio calzone trovai un biglietto su cui era scritto:

«Un giorno
ma non ancora
avrò memoria di quel RISCOSSA
e insieme tiferemo rivolta».

Su questi versi ho scritto le mie canzoni più belle.

 

Domenico Porfido

 

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